L'Italia e il Movimento della Transizione: facciamo il punto
Nelle scorse settimane, su queste pagine, vi abbiamo proposto la cronaca del primo incontro italiano sul tema della transizione e sul movimento delle transition town. Abbiamo quindi intervistato Cristiano Bottone - che insieme ad altri sta cercando di diffondere l’esperienza britannica in Italia - per cercare di capirne di più.
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di
Daniel Tarozzi
Che cos’è la transizione? Il dizionario recita:
“transizione - passaggio da uno stato, da una condizione, da una situazione ad un'altra”. In effetti questo è l'obiettivo del movimento di Transizione, quello di riorganizzare le nostre comunità secondo un modello completamente nuovo. La nostra società e la nostra economia sono oggi totalmente basate sul petrolio e i suoi infiniti derivati. Questo significa che nel momento in cui il petrolio non fosse più abbondante e a buon mercato le conseguenze sarebbero molto gravi.
Viviamo tutti un costante stato di dipendenza da sistemi e organizzazioni dei quali non abbiamo alcun controllo. Nelle nostre città consumiamo gas, cibo, prodotti che percorrono migliaia di chilometri per raggiungerci, con catene di produzione e distribuzione estremamente lunghe, complesse e delicate. Il tutto è reso possibile dall’abbondanza di petrolio a basso prezzo che rende semplice avere energia ovunque e spostare enormi quantità di merci da una parte all’altra del pianeta.
È facile scorgere l’estrema fragilità di questo assetto, basta chiudere il rubinetto del carburante e la nostra intera civiltà si paralizza.
È quello che sta accadendo ora che la produzione petrolifera ha raggiunto il suo Picco.
Nei prossimi anni il petrolio estratto sarà sempre meno, sempre più caro e sempre meno disponibile, con la conseguenza di una vera e propria crisi di sistema (di cui stiamo già osservando i primi segnali).
Il problema del picco del petrolio (o Picco di Hubbert) è noto da tempo, ma diversi fattori hanno fatto sì che si stia verificando prima di quanto la maggior parte degli economisti (non Hubbert che doveva veramente avere la sfera di cristallo) avessero previsto. Si somma inoltre ad un altro grande elemento di criticità:
il fenomeno del riscaldamento globale.
Si è sempre pensato che si sarebbero potuti mitigare gli effetti del picco del petrolio ricorrendo al carbone, alle sabbie bituminose e ad altri idrocarburi "sporchi" di cui esistono ancora giacimenti molto consistenti. Ma l'uso di queste risorse comporterebbe l'emissione in atmosfera di enormi quantità di sostanze inquinanti e gas serra, cosa che, a causa del riscaldamento globale, non possiamo assolutamente permetterci di fare.
Il movimento di Transizione prende atto di questa situazione drammatica e opera all'interno delle comunità, villaggio, quartiere, vallata, al fine di aumentarne la capacità di affrontare questa crisi senza subire conseguenze troppo severe.
Ma non si ferma qui, non si limita a una risposta difensiva. Propone invece di sfruttare la componente di opportunità presente in questa crisi, e di utilizzarla come motore per produrre un cambiamento sostanziale e radicale del nostro modo di vivere, con l'obiettivo ultimo di ritrovarsi tutti, alla fine del processo, in un mondo davvero migliore.
Volendo tentare una descrizione sintetica direi che la Transizione è in realtà una meravigliosa, potentissima e articolatissima macchina di ricostruzione del sistema di rapporti tra gli uomini e gli uomini e tra gli uomini e il pianeta che abitano.
Dove nasce e quando?
Il primo germe nasce in Irlanda nel 2003 dal lavoro che Rob Hopkins, fondatore e ispiratore del movimento, svolge con gli studenti di
permacultura del College di Kinsale. Mettono a punto il
Kinsale Energy Descent Plan un progetto che indicava come la piccola città avrebbe dovuto riorganizzare la propria esistenza in un mondo con poco petrolio.
Voleva essere un’esercitazione scolastica, ma quasi subito tutti si resero conto del potenziale rivoluzionario di quella iniziativa. Quello era il seme della Transizione, il progetto consapevole del passaggio dallo scenario attuale a quello del prossimo futuro.
Poi Rob si trasferisce a Totnes, in Ighilterra e sulla base dell'esperienza accumulata ripropone l'idea cercando di coinvolgere l'intera comunità nel processo di creazione del piano di Transizione per la città.
Nasce Transition Totnes e la prima città di transizione, l'idea è così forte e i metodi così efficaci che oggi sono già cento iniziative simili e crescono a ritmo esponenziale.
Cristiano Bottone Come ne sei venuto a conoscenza?
Cercavo in giro per il mondo esperienze di ricostruzione della struttura etica di una società. Un giorno ho letto un articolo su
Internazionale e veniva citata l'esperienza di Totnes e delle Transition Towns. Qualcosa in quell'articolo mi ha fatto pensare che fosse meglio scoprire di più..
Quali sono i punti di forza della transizione?
La transizione non si schiera ideologicamente, vuole produrre risultati e i risultati vengono prima di ogni ideologia.
La Transizione fornisce un metodo e tanti strumenti operativi che vengono continuamente rivisti e migliorati grazie all'apporto di tutte le esperienze in corso (oggi diremmo che è un processo open-source).
È un movimento veramente governato dal basso. Predilige l'inclusione di tutte le esperienze affini già esistenti. Costruisce reti e relazioni. Potremmo dire che la Transizione non ha nemici, ma solo compagni di viaggio. E soprattutto la transizione fa.Pianta alberi, coltiva orti, installa pannelli solari, ricostruisce le relazioni sociali, forma, sostiene l'economia locale, modifica le strade, stende piste ciclabili, rende le piazze ospitali, e così via. Fa, non si perde in cortei e in riunioni che servono a organizzare riunioni che servono a organizzare comitati che servono a convocare assemblee...
Cosa la accomuna e cosa la distingue da movimenti come quello della decrescita?
Transizione e decrescita sono naturali compagni di viaggio con moltissime affinità. Forse la differenza più grande sta nei metodi, ma se il vostro problema fosse quale movimento scegliere tra i due, beh... non avete un problema... credetemi.
In che modo la transizione potrebbe svilupparsi in Italia?
Per contagio, esattamente come sta accadendo nel resto del mondo. Una piccola comunità comincia, quelle vicine si interessano e decidono anche loro di partire. Fare la Transizione è divertente, crea entusiasmo, genera ottimismo.
In effetti c'è una fase iniziale un po' depressiva. In Inghilterra le hanno persino dato un nome:
"end of suburbia monent". È quel momento in cui una persona esce dalla bambagia dell'informazione mainstream e si rende effettivamente conto della drammaticità di questo particolare momento storico. Quando arrivi a pensare veramente che nel giro di un tempo molto breve il mondo potrebbe essere completamente diverso da quello che conosci, allora entri in crisi.
Superato questo momento però, per lo più ci si diverte. La transizione è entusiasmante. Così chi ti guarda a un certo punto pensa: "perché quelli si divertono e io no?". Ecco, più o meno funziona così.
Non vorrei sbilanciarmi troppo, ma direi che sta già succedendo anche qui.
Monteveglio, città di transizione Perché avete scelto proprio Monteveglio come primo luogo in cui sperimentare la transizione italiana? Personalmente ho incentrato le mie forze su Monteveglio perché ci abito e perché ha molte caratteristiche che la rendono un posto in cui potrebbe essere relativamente facile cominciare. L'amministrazione comunale ha dimostrato sensibilità alle tematiche ambientali e la comunità ha risposto molto bene. Abbiamo un parco naturale, la raccolta differenziata porta a porta sopra al 75%, un territorio articolato con un bel mix di agricoltura, industria, artigianato e commercio. Insomma una serie di condizioni che mi sembrano favorevoli.
Secondo te, quali saranno le peculiarità della transizione italiana?In Italia abbiamo una situazione politica abbastanza disperata, una grave crisi di fiducia delle persone nelle istituzioni e una preoccupante deriva culturale che sta producendo analfabetismo di ritorno e l'annullamento del senso critico.
Detto questo, sul piano del potenziale, se c'è un paese in cui si potrebbe fare una transizione efficace e trovarsi come risultato a vivere in una specie di paradiso è proprio l'Italia.
Abbiamo tutto quello che serve e, paradossalmente, molti dei nostri tesori si sono conservati meglio di quelli di altre nazioni. Potremmo abbastanza facilmente raggiungere l'autonomia energetica e alimentare, fare rinascere le foreste e sviluppare sistemi agricoli che preservino il territorio invece che distruggerlo. Abbiamo importanti tradizioni manifatturiere e un tessuto artigianale ancora vivo da recuperare e sviluppare.
Credi che il nostro tessuto socio-culturale sia pronto a recepire il messaggio insito nel movimento della transizione e a mettersi, di conseguenza, “in viaggio”?
Ora sì, i contro del nostro "sistema italiano" stanno nettamente superando i pro. Inoltre, le spinte che arriveranno dal collasso globale aiuteranno le persone a muoversi.
Non hai paura che sia troppo tardi?
C'è il rischio che il mondo cambi troppo in fretta, generando tensioni troppo grandi e conseguenze troppo pesanti per tutti. Questa però non è una ragione per gettare la spugna, solo un incentivo a fare di più.
Quali i prossimi passi?
A livello nazionale spero sia operativo entro breve Transition Italia, un'organizzazione volontaria molto leggera in grado di facilitare la nascita delle iniziative locali di Transizione. Si occuperà principalmente di mantenere i rapporti con il network internazionale e di fornire documentazione, formazione e supporto e chiunque volesse mettersi al lavoro nella propria comunità.
A Monteveglio, invece, visto che le cose procedono più rapidamente del previsto e l'interesse delle persone cresce, pensiamo di passare al più presto alla formazione dei primi gruppi di lavoro. Inoltre siamo impegnati nel territorio della provincia per far partire entro breve alcune altre iniziative locali.
12 Ottobre 2008 -
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