Una filosofia che ha attecchito anche in Italia ma che è nata tutta in ambito britannico e ha trovato il suo promotore in Rob Hopkins, esperto di permacultura, che dopo una prima esperienza in Irlanda, a Kinsale, ha fatto della cittadina di Totnes, in Gran Bretagna, l’esempio più famoso di questo movimento.
Questo villaggio di 8.500 abitanti nel sud-ovest dell’Inghilterra – già noto come luogo di villeggiatura di una classe medio-alta piuttosto “alternativa”, istruita e orientata a un certo tipo di consumi materiali e culturali –è stato da subito terreno fertile per le idee di Hopkins. Partendo da una presa di coscienza dei problemi che ci affliggono su scala planetaria – il cambiamento climatico, la futura penuria di fonti di energia non rinnovabili, la questione dello sfruttamento delle risorse idriche – Hopkins e i suoi sono riusciti a coinvolgere una piccola comunità che ha iniziato a compiere la sua piccola rivoluzione nel nome dell’autosufficienza. L’obiettivo è che produzione, distribuzione e consumo (di energia, di acqua e di cibo, principalmente) diventino il più possibile locali, indipendenti da fattori esterni. E così via libera a progetti riguardanti l’uso di fonti energetiche rinnovabili, spesa a chilometro zero, coltivazione di community gardens, mobilità sostenibile. L’idea forte è stata quella di introdurre una valuta locale, la sterlina di Totnes, cambiata 1 a 1 con la sterlina del Regno Unito. Questa moneta – spendibile nella settantina di negozi iscritti al movimento – incentiva l’acquisto di prodotti locali, cosa che determina una diminuzione delle emissioni di CO2 dovute al trasporto e un effettivo sostegno alle imprese del posto.
Raccontata in questo modo Totnes appare un piccolo paesino fatato, che ha attuato la sua piccola svolta “verde” proprio in virtù del suo essere piccolo, circondato da fertili campagne, e abitato da una popolazione particolarmente istruita, ricettiva, e anche – non trascuriamolo – danarosa. Ma è possibile “pensare globalmente e agire localmente” in contesti in cui le politiche ecologiche non sembrano essere il problema più pressante? Il movimento delle Transition Towns può sopravvivere ad esempio nei sobborghi delle metropoli, nelle aree ad alta densità abitativa, nei sobborghi periferici “difficili”?
Dal 17 settembre di quest’anno, infatti, il quartiere ha la sua moneta chiamata Brixton Pound che, come a Totnes, cercherà di incentivare la gente a comprare presso negozi locali indipendenti e di spingere i negozi stessi a servirsi di fornitori del posto. A questo si affiancheranno i consueti progetti per la riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di CO2, nel trasporto pubblico, nel riciclaggio dei rifiuti, nello stop agli sprechi e nello sviluppo di orti urbani. Grande enfasi è data naturalmente ai progetti di sensibilizzazione ed educazione. A Brixton si lavora su numeri più grandi di quelli a cui sono abituate le Transition Towns (oltre 60mila persone sono potenzialmente interessate), e soprattutto su un pubblico che normalmente è difficile da raggiungere per le campagne di tipo ecologista.
Da Totnes a Brixton il passo è lungo. Una sfida decisiva e una scommessa importante con e per il movimento. Noi naturalmente facciamo il tifo.
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