Analizzando più a fondo i metodi e i percorsi che la Transizione propone, si apre un universo che va ben oltre questa prima definizione e fa della Transizione una meravigliosa e articolatissima macchina di ricostruzione del sistema di rapporti tra gli uomini e gli uomini e tra gli uomini e il pianeta che abitano.
Il movimento della Transizione nasce quasi per caso nel 2003 in Inghilterra dalle intuizioni e dal lavoro di Rob Hopkins. Lo studioso britannico in quel periodo insegnava a Kinsale e con i suoi studenti creò il Kinsale Energy Descent Plan un progetto strategico che indicava come la piccola città avrebbe dovuto riorganizzare la propria esistenza in un mondo in cui il petrolio non fosse stato più economico e largamente disponibile.
Voleva essere un’esercitazione scolastica, ma quasi subito tutti si resero conto del potenziale rivoluzionario di quella iniziativa. Quello era il seme della Transizione, il progetto consapevole del passaggio dallo scenario attuale a quello del prossimo futuro.
L’economia del mondo industrializzato, infatti, è stata sviluppata negli ultimi 150 anni sulla base di una grande disponibilità di energia a basso prezzo ottenuta dalle fonti fossili, prima fra tutte il petrolio. Più in generale il nostro sistema di consumo si fonda sull’assunto paradossale che le risorse a disposizione siano infinite.
Le conseguenze più evidenti di questa politica sono il Global Warming e il picco delle risorse, prime tra tutte il petrolio, una combinazione di eventi dalle ricadute di portata epocale sulla vita di tutti noi. Ci sono molti altri effetti che si sommano a questi, inquinamento, distruzione della biodiversità, iniquità sociale, mancata ridistribuzione della ricchezza, ecc.
Ma il professor Hopkins è anche e soprattutto un ecologista e ha passato anni a insegnare i principi della Permacultura. Da questo suo background deriva la sua seconda intuizione: applicare alla logica della sua Transizione il concetto di resilienza.
Resilienza non è un termine molto conosciuto ed esprime una caratteristica tipica dei sistemi naturali. La resilienza è la capacità di un certo sistema, di una certa specie, di una certa organizzazione di adattarsi ai cambiamenti, anche traumatici, che provengono dall’esterno senza degenerare; una sorta di flessibilità rispetto alle sollecitazioni.
La società industrializzata è caratterizzata da un bassissimo livello di resilienza. Viviamo tutti un costante stato di dipendenza da sistemi e organizzazioni dei quali non abbiamo alcun controllo. Nelle nostre città consumiamo gas, cibo, prodotti che percorrono migliaia di chilometri per raggiungerci, con catene di produzione e distribuzione estremamente lunghe, complesse e delicate. Il tutto è reso possibile dall’abbondanza di petrolio a basso prezzo che rende semplice avere energia ovunque e spostare enormi quantità di merci da una parte all’altra del pianeta.
È facile scorgere l’estrema fragilità di questo assetto, basta chiudere il rubinetto del carburante e la nostra intera civiltà si paralizza. Questa non è resilienza.
I progetti di Transizione mirano invece a creare comunità libere dalla dipendenza dal petrolio e fortemente resilienti attraverso la ripianificazione energetica e la rilocalizzazione delle risorse di base della comunità (produzione del cibo, dei beni e dei servizi fondamentali).
Nascono così le Transition Towns (oramai centinaia), città e comunità che sulla spinta dei propri cittadini decidono di prendere la via della transizione.
Qui si evidenzia il terzo elemento di forza del progetto di Rob Hopkins, quello che lui ha creato è un metodo che si può facilmente imparare, riprodurre e rielaborare. Questo lo rende piacevolmente contagioso, anche grazie alla forza della visione che contiene, un’energia che attiva le persone e le rende protagoniste consapevoli di qualcosa di semplice e al contempo epico.
Possediamo tutte le tecnologie e le competenze necessarie per costruire in pochi anni un mondo profondamente diverso da quello attuale, più bello e più giusto. La crisi profonda che stiamo attraversando è in realtà una grande opportunità che va colta e valorizzata. Il movimento di Transizione è lo strumento per farlo.
IN ITALIA
Attualmente è partita una prima iniziativa nella città di Monteveglio (Bo) e sono programmati un Incontro Nazionale (26-28 settembre) e un Transition Training (in lingua italiana dal 17 al 19 ottobre) tenuto dagli istruttori inglesi provenienti da Totnes, la città britannica in cui tutto è cominciato grazie alle intuizioni e al lavoro di Rob Hopkins.
MONTEVEGLIO CITTA' DI TRANSIZIONE
A seguito di un primo incontro di presentazione si è costituito a Monteveglio il Gruppo Guida della prima iniziativa di Transizione italiana.
Il Gruppo è ora impegnato nella fase di divulgazione (Awarness Rising) che prevede la diffusione all'interno della comunità delle informazioni indispensabili a comprendere ragioni e obiettivi delle iniziative di Transizione.
Uno degli elementi rivoluzionari del processo di Transizione è che è completamente organizzato dal basso e prevede che sia la comunità stessa a prenderne progressivamente il controllo.
Le attività e gli eventi troveranno ospitalità presso la sede del Parco Regionale dell'Abbazia di Monteveglio e sono già state avviate le operazioni di contatto con tutte le realtà sociali ed economiche operanti sul territorio.
Per seguire il diario delle attività:
montevegliotransizione.wordpress.com
Articolo a cura di Cristiano Bottone
10 Settembre 2008 - Scrivi un commento
passare dalle abitazioni individuali "uno spreco"
alle abitazioni comuni : diversi minovani con servizi in comune : cucine, lavanderie, sale pranzo, lettura, svago