L’ultima pagina, almeno per ora, di questo difficile capitolo è stata scritta qualche giorno fa: il 15 luglio la Cites (Convention on International Trade in Endagered Species of Wild fauna and Flora), organismo della Nazioni Unite che vigila sugli scambi di fauna e flora a rischio di estinzione, dopo 19 anni di divieto, ha dato l’autorizzazione alla Cina per l’acquisto dell’avorio proveniente da zanne di elefanti africani.
Tale concessione prevede termini ben precisi per la tutela degli elefanti: i proventi delle vendite di avorio devono essere versati in fondi speciali per il sostegno di programmi di conservazione per le popolazioni di elefanti a rischio; i paesi acquirenti devono dimostrare di avere adeguate misure di controllo per assicurare la tracciabilità degi stock di avorio e che questi restino entro i mercati nazionali; i paesi africani cui è stata consentita la vendita di avorio dovranno concordare il prezzo di mercato, la vendita ed il trasferimento degli stock.
Da più parti però si avverte il rischio di un’altra strage e persino dell’estinzione, come denuncia per primo Allan Thernton dell’Agenzia per la tutela dell’Ambiente (Eia). “Questo significherà un ritorno ai vecchi tempi bui con gli elefanti a rischio di estinzione”.
Thernton con l’espressione “tempi bui” fa riferimento in modo particolare ai decenni ’70 e ’80, periodo in cui il numero degli animali africani passò da un milione e trecento mila esemplari a 625.000. Dopo questo sterminio di proporzioni colossali, documentate dall’Eia, l’avorio nel 1989 fu messo al bando: un altro decennio come gli anni ’80 avrebbe portato quasi certamente all’estinzione dei più grandi animali della Terra.
Nel 1997 quattro paesi africani – Sudafrica, Namibia, Botswana e Zimbabwe – convinsero la Cites ad autorizzare il commercio delle zanne di elefanti morti per cause naturali. Un paio d’anni dopo la vendita di 50 tonnellate di avorio fu autorizzata ma esclusivamente al Giappone, unico stato riconosciuto allora come «acquirente autorizzato».
Il divieto della Cites ha avuto però come conseguenza un commercio illegale di avorio di enormi dimensioni: numerosissimi negli ultimi anni i casi di confisca di tonnellate di questo materiale venduto illecitamente.
Un commercio illegale che recentemente ha trovato come canale privilegiato Internet, nuova frontiera per la vendita di gioielli, tasti per i pianoforti, oggetti scolpiti in avorio e souvenir: frivolezze di lusso costate la vita di centinaia di elefanti.
Frivolezze che sembrano però essere irrunciabili per i cinesi che hanno quindi richiesto e ottenuto di poter acquistare le circa 100 tonnellate di avorio di Sudafrica, Namibia, Botswana e Zimbabwe, provenienti da animali deceduti per morte naturale.
La Cina, considerata fino a poco tempo fa uno dei maggiori importatori illegali di avorio, è stata adesso accettata come “trading partner”, accanto al Giappone, per il commercio dell’avorio dalla Cites.
Da parte sua, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Liu Jianchao ha affermato in una conferenza stampa che il commercio illegale di avorio in Cina ha subito un forte calo e ha inoltre dichiarato l’impegno del paese per la salvaguardia delle specie selvagge, elefanti compresi.
Né le dichiarazioni del governo cinese né quelle della Cites bastano però a dissuadere tutti coloro che, preoccupati per la sorte dei pachidermi, nutrono dubbi e preoccupazioni.
Il WWF considera prematura la decisione presa dalla Cities e si aspetta che la Cina e tutti coloro che hanno a cuore la conservazione del nostro patrimonio naturale si impegnino per contrastare i fenomeni di bracconaggio e di commercio illegale attraverso un efficiente sistema di controllo.
La LAV, d’altra parte, considera “contro ogni logica” il via libera dato alla Cina e, prevedendo una crescita della domanda di avorio, si pone un inquietante interrogativo: “cosa succederà della già ridotta popolazione di elefanti quando le scorte saranno terminate?”
20 Luglio 2008 - Scrivi un commento