Per una serie di vicissitudini personali, questo è un periodo in cui mi trovo di sovente a trascorrere le serate fuori dalla mia abitazione; avendo la possibilità di cenare altrove e, fortunatamente, in compagnia di piacevoli interlocutori, capita, spesso, di frequentare diversi locali pubblici adibiti ad uso ristorazione e di avere la possibilità in prima persona di verificare se la richiesta di acqua corrente del rubinetto possa suscitare problemi.
Ho preso molto a cuore l’operazione “imbrocchiamola” perché mi è sembrata subito un modo concreto per poter fare qualcosa di grande nel proprio piccolo. Ho il difetto –credo sia tale a livello sociale- di perdermi nel delirio da massimi sistemi e di infervorarmi di frequente su come dovrebbero andare le cose e sull’analisi dei perché non vadano in quel modo.
Analisi che spesso rimane pretestuosa e fonte di consequenziali discussioni pseudofilosofeggianti. Ma fattivamente, non voglio nasconderlo, sono uno dei tanti che fa poco per migliorare le cose. Più per pigrizia che per ipocrisia. Voglio dire l’ipocrita pensiero “tanto io da solo non posso cambiar nulla, che lo faccio a fare?” non rientra nelle mie sinapsi. Ma stavolta quell’articolo che lessi sul nostro prestigioso portale in data 21/03/2008, vigilia della giornata mondiale dell’acqua, non mi lasciò indifferente.
La città in cui vivo possiede la più grande disponibilità di acqua pro-capite, a livello nazionale e non solo. Roma, infatti, offre la possibilità ad ogni cittadino di gestire 500 litri di vita al dì. Tutto questo, o meglio la possibilità che tutto questo non solo non venga sfruttato, ma venga addirittura negato a beneficio delle bottiglie di plastica e delle mere speculazioni economiche legate ai loro trasporti ed alla loro vendita, m’ha smosso delle corde di profondo sdegno interiore. E allora via, cominciai ad unire l’utile al dilettevole.
Non apprezzando tralaltro l’acqua minerale, è stato giocoforza naturale cominciare a monitorare chi la dava e chi non la dava. Il computo generale, finora, è sinceramente positivo. Infatti, la stragrande maggioranza dei posti ha servito tranquillamente la caraffa “d’acqua del sindaco” sul tavolo.
Quindi, mi sembrava non avesse più molto senso questa piccola, pacifica battaglia. Almeno non a Trastevere e zone limitrofe. Ma ecco che, proprio mentre stavo per spostare il raggio d’azione, dovetti constatare che nell’epicentro delle mie peregrinazioni si annidava il nemico. Mai avrei immaginato che in uno degli snodi cruciali della vita notturna trasteverina, Piazza San Cosimato, un noto ristorante che ha alle spalle Viale Trastevere e che ti accoglie calorosamente, con foto di calciatori ed attori sulle pareti e buona musica che suona dalle casse appese ai muri, dovesse tradire questo mio piccolo neonato ideale.
Due volte ho chiesto e non ottenuto ciò che volevo, due volte ho cercato di dialogare con la cameriera che adduceva motivazioni assurde ed inesistenti, tipo il presunto obbligo di servire bottiglie di plastica per legge. Ora è questo il mio imminente obiettivo, e nell’attesa di tornarci in una delle mie serate fuori casa, spesso ci giro intorno cercando di valutare il modo più civile per vincere la piccola guerra in corso. Ci devo riuscire.
A proposito, chiunque frequentasse Piazza San Cosimato e volesse darmi una mano, intanto, è il benvenuto. Magari, augurandomi di aver sollecitato la sua curiosità, cominci con lo scoprire di quale ristorante sto parlando…
29 Aprile 2008 - Scrivi un commento