Nessuna zona sarà dichiarata edificabile e, di contro, il Comune si orienterà verso un’azione di riqualifica e ristrutturazione delle abitazioni esistenti ma disabitate, abbandonate o fatiscenti.
“Il nostro obiettivo”, afferma il sindaco Vincenzo Cenname, “sarà quello di apportare un incremento di valore a tutti gli edifici esistenti, prevedendo un piano di recupero per le tante case abbandonate nel centro storico”.
Con questa decisione, il comune di Camigliano si allinea ai principi sostenuti da “Stop al Consumo di territorio”, movimento di opinione nato da qualche anno per difendere il territorio italiano dall’assalto del cemento (di cui si è spesso parlato sulle pagine di questo sito).
Secondo i dati raccolti da tale movimento, nei soli ultimi quindici anni circa 3 milioni di ettari di terreno sono stati divorati dal cemento o dall’asfalto. Tra grandi opere pubbliche, speculazioni edilizie e abusivismo, si è sottratto suolo all’agricoltura e ai pascoli, cioè alle attività redditizie. E quello che ne è risultato spesso è puro spreco, ossia svariate migliaia di case non affittate e capannoni industriali inutilizzati.
Si tratta di un rapido e gravissimo processo di degrado dell’ambiente che purtroppo non viene percepito come tale. Il suolo è considerato una risorsa infinita, si pensa sempre all’espansione, alla moltiplicazione, all’ingrandimento, senza rendersi conto che esistono dei limiti fisici, in particolare in un paese come l’Italia.
La cementificazione del terreno comporta varie conseguenze negative. In primo luogo aggrava la questione delle emissioni di gas serra. Nel suolo è infatti naturalmente contenuto carbonio; se la terra viene scavata e rimossa, tale elemento si libera e si lega all’ossigeno, formando anidride carbonica che si diffonde nell’atmosfera.
Se si supera il bilanciamento tra terreni naturali e zone edificate, si crea uno squilibrio nell’ecosistema, ossia si giunge ad un punto in cui esso non riesce più ad auto-rigenerarsi. In alcune aree lombarde tale limite è stato già raggiunto. E d’altro canto la Coldiretti ha dimostrato che già ora l’Italia non è più autosufficiente quanto a risorse agricole e alimentari.
Infine costruire nuovi edifici, strutture, strade, significa cancellare la natura, la storia, le bellezze paesaggistiche che caratterizzano il nostro paese e rendono piacevole la vita di milioni di abitanti nonché di turisti (che portano evidentemente ricchezza).
Una politica responsabile dovrebbe vagliare molto bene le conseguenza prima di accondiscendere alla costruzione di nuove infrastrutture, le quali poi spesso si rivelano inutili, perché giustapposte ad altre già esistenti e non utilizzate o incompiute o da ristrutturare. A muovere le leve sono spesso le imprese immobiliari, le lobbies dei costruttori, gli investitori, e a far loro gioco sono le amministrazioni comunali interessate agli appoggi politici (ossia ai voti) e ai rientri economici dati dagli oneri edilizi.
Del resto, nuova edificazione viene considerata nuova ricchezza (che importa se poi la costruzione sia effettivamente utilizzata o no) secondo gli ottusi parametri del PIL, che come è noto da tempo non è affatto in grado di fornire indicazioni affidabili dello stato di benessere e di salute di un paese.
E’ esattamente quanto ora Camigliano si appresta a fare, diventando quindi il secondo comune a crescita zero d’Italia.
Il paese del caleno si era già fatto notare in passato per varie iniziative nell’ambito della salvaguardia dell’ambiente; esso ha infatti avviato la sperimentazione di varie buone pratiche volte alla riduzione dei rifiuti urbani e all’efficienza energetica. Inoltre esso, in quanto membro dell’associazione Comuni Virtuosi (come lo stesso Cassinetta di Ligagnano), lo scorso 22 novembre ha ospitato la cerimonia della terza edizione del Premio nazionale “Comuni a 5 stelle”, che per l’appunto dà riconoscimenti a centri urbani ed amministrazioni che si siano distinti per politiche volte alla tutela del territorio e alla diffusione di nuovi stili di vita più ecosostenibili.
Non resta che augurarci un proliferare di comuni “non espandibili”.
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