Nel 2008 continuò quella che Paolo Rumiz ha definito (giustamente) “la svendita di un patrimonio comune, mascherata da rivoluzione efficientista”. Infatti, nel mese di agosto di quell’anno, e nell’assoluto silenzio della cosiddetta “opposizione”, venne approvata la legge 133, che con l'articolo 23 bis obbligava i comuni a mettere le loro reti sul mercato entro il 2010. L’ultimo in ordine di tempo è stato il recente decreto Ronchi (135/09), grazie al quale i comuni dovranno avere almeno un socio nella gestione del servizio idrico, diminuendo drasticamente la loro presenza a vantaggio dei privati.
Insomma, nel silenzio, nell’indifferenza e nell’ignoranza generali, con la pretesa attuazione di obblighi comunitari in materia di servizi pubblici locali e con la solita favola di un efficientismo che mai vedremo in questo Paese, si è cercato in tutti i modi di levare alle persone il bene più prezioso di tutti, la base stessa della nostra sopravvivenza.
I tentativi più o meno riusciti di privatizzare l’acqua hanno sortito un effetto per molti inaspettato, una sorta di “risveglio” delle coscienze o anche solo dell’intelletto che, in questo caso, non riguarda solo privati cittadini o associazioni dei medesimi, ma le stesse istituzioni. A due mesi dalla legge Ronchi, infatti, i segnali di reazione a questa ennesima ruberia non si sono fatti aspettare troppo a lungo.
In Puglia la schiacciante vittoria di Nichi Vendola alle primarie del centrosinistra (in cui ha battuto con il 73% l’avversario Francesco Boccia), svoltesi in vista delle prossime elezioni regionali, sono state non solo un esplicito messaggio da parte degli elettori pugliesi alla classe dirigente (di centro-sinistra, almeno), ma anche il risultato della ferma presa di posizione dell’attuale governatore nei confronti di due delle tematiche più delicate trattate in Italia in questo momento: no al nucleare e no alla privatizzazione dell’acqua (e di conseguenza di quello che è il più grande acquedotto d’Europa: quello pugliese appunto).
Infatti, il presidente della regione, Vasco Errani, ritiene che “il provvedimento vada ben oltre i titoli di competenza statale, risultando in contrasto con la stessa disciplina comunitaria”, e che questa riforma “non appare affatto improntata ad assicurare obiettivi di tutela della concorrenza, ma a perseguire altre e ben diverse finalità, puntando esclusivamente ad una irragionevole riduzione e limitazione della proprietà pubblica delle società di gestione”, ossia ad una progressiva e significativa limitazione della garanzia di accesso alla risorsa.
E Puglia ed Emilia Romagna non sono le uniche a ribellarsi a questi non-sensi per la res publica. Molti sono anche i comuni, i municipi e le circoscrizioni comunali che stanno modificando i loro statuti in modo da non permettere la privatizzazione di ciò che privato non dovrebbe essere nemmeno in una bottiglia. Ricordiamo ad esempio la prima vittoria del consiglio del XVI Municipio di Roma, che ha approvato a maggioranza assoluta una delibera, la prima a Roma, che impegna il Comune ad esprimersi sulla modifica del proprio Statuto, al fine di “dichiarare l'acqua un bene pubblico inalienabile”.
Anche l’Associazione nazionale dei Comuni Virtuosi si schiera dalla parte dell’acqua (pubblica, ovviamente), e fornisce a tutti i comuni che lo volessero utilizzare, un modulo di "Modifica e integrazione dello Statuto Comunale.
- riconoscere il Diritto umano all'acqua, ossia l’accesso all’acqua come diritto umano,universale, indivisibile, inalienabile e lo status dell’acqua come bene comune pubblico;
- confermare il principio della proprietà e gestione pubblica del servizio idrico integrato e che tutte le acque, superficiali e sotterranee, anche se non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà;
- riconoscere che la gestione del servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l’accesso all’acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini, e quindi la cui gestione va attuata attraverso gli Artt. 31 e 114 del d. lgs n. 267/2000.
Tale iniziativa ha già portato diversi comuni a deliberare testi per dichiarare l'acqua un bene comune, essenziale ed insostituibile per la vita di ogni essere vivente; diritto inviolabile, universale, inalienabile ed indivisibile dell’uomo, dichiarando inoltre il Servizio Idrico Integrato un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto essenziale per garantire l’accesso all’acqua e pari dignità umana a tutti i cittadini.
Insomma, le reazioni iniziano a farsi sentire in un Paese, l’Italia, talmente assopito negli interessi individuali dei suoi cittadini da farlo spesso sembrare morto. Reazioni che sono una vera e propria boccata d'aria per i molti enti locali che, dicevamo, stanno modificando gli statuti per mantenere quello idrico un servizio pubblico privo di rilevanza economica; per il grande Movimento dell'acqua che si prepara per la manifestazione nazionale del 20 marzo contro i deliri del governo; ma soprattutto una boccata d’aria per tutti coloro che non sopportano più di non essere inclusi, di non essere consultati in decisioni di una tale importanza, di non essere ascoltati. In altre parole, per tutti coloro che sono stanchi di non essere rappresentati.
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siete fantastici, mille volte grazie.