In Italia si accumulano, per famiglia, 560 euro di avanzi o alimenti scaduti da buttare via, sufficienti a sfamare 6 milioni di persone. In percentuale, il 10% della spesa finisce nella spazzatura mentre il 4,4% delle famiglie residenti in Italia vive al di sotto della soglia di povertà alimentare.
Cosa spinge a questo paradosso? Forse sono una serie di fattori non necessariamente connessi fra loro, ma ugualmente concorrenti a creare una situazione per cui il cibo da bene di prima necessità diventa quasi materiale di scarto.
Proviamo ad improntare un ragionamento semplice nei suoi elementi. Il cibo è sottoposto a due tipi differenti di sprechi: quello del supermercato e quello dell’uso domestico. Nel primo caso le catene alimentari ed i supermarket destinano alla spazzatura gli alimenti in scadenza (quindi non ancora scaduti) e quei prodotti (frutta e verdura in particolare) ammaccati o molto maturi. Nel secondo caso il pattume si gonfia del cibo che non si è riusciti a consumare durante i pasti oppure di quegli alimenti scaduti, dimenticati in fondo al frigorifero o negli anfratti delle dispense.
Insomma, dal punto di vista commerciale, in Italia si fa di tutto per vendere quanta più merce possibile, ma nulla per limitare lo spreco. Eppure, una soluzione semplice al problema sarebbe quella già sperimentata ed entrata ormai nel costume dei supermercati inglesi che collocano all’ingresso quella merce che è prossima alla scadenza, vendendola ad un costo inferiore.
Ora, così come esiste una duplice via per creare cumuli di cibo destinati al macero, in Italia esistono altrettante strade per evitare che questo accada.
A Milano nel 2003 è stato messo in piedi il progetto Siticibo che visto il successo ha il proposito di allargarsi alla provincia in senso più ampio. L’iniziativa consiste nel duplice intento di ridurre gli sprechi alimentari prodotti dalle catene di ristorazione organizzata e soprattutto la quantità di rifiuti in circolo.
Last minute market è invece l’idea messa in pratica dal Prof. Andrea Segrè che attraverso la cooperativa carpe cibum opera per il recupero delle merci invendute, senza valore commerciale ma che possono ugualmente essere utilizzate. I beni – non necessariamente alimentari dal momento che nel contesto rientrano anche libri e farmaci – sono resi disponibili per enti ed associazioni che offrono aiuto a persone in condizione di disagio sociale.
Le iniziative locali sono importanti, ma evidentemente non sufficienti, visto che le statistiche di cui all’inizio di questo articolo indicano una tendenza preoccupante che può essere invertita solo attraverso un diverso approccio nei confronti del cibo, non tanto quello mangiato, quanto quello comprato e stipato.
Il cambiamento deve partire dalla più spiccia economia domestica. Assieme al cibo sprecato, vanno via anche quei soldi spesi per comprarlo. Riciclare gli avanzi, consumare quello che si ha già in casa prima di assaltare il supermarket, tenere bene a mente le date di scadenza e consumare gli alimenti prima che questa arrivi sono regole tanto semplici quanto preziose per evitare uno spreco che ha del disumano quando nel mondo, ogni giorno, muoiono a migliaia perché non hanno cosa mettere sotto i denti. Sarebbe una giusta legge morale, ancorché civile da assumere come regola di vita da parte di ogni singolo individuo che ha la fortuna, a pranzo e cena, di porsi la domanda: “cosa mangio oggi?”.
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