Un po’ per la nebbia un po’ per la fitta vegetazione, solo quando sono ormai a poche decine di metri da lui riescono a scorgere un uomo in una tenuta vagamente paramilitare armato di fucile e intensamente impegnato a farne uso. La nebbia è fitta e l’uomo sta letteralmente sparando alla cieca. I carabinieri lo raggiungono, lo disarmano e gli chiedono i documenti, pronti a condurlo con loro in caserma. L’uomo mostra una tessera, i carabinieri la esaminano, poi gliela restituiscono insieme al fucile e vanno via. L’uomo riprende a sparare alla cieca fra la nebbia e la fitta vegetazione.
Possiamo aggiungere un epilogo: il giorno prima ha piovuto e le condizioni nel bosco sono ideali per andare in cerca di funghi. Nonostante la nebbia un’intera famiglia, padre madre e un bambino, ha deciso di farlo. Il sentiero che essi stanno percorrendo passa poco distante dal luogo in cui è appostato l’uomo col fucile; essi sentono gli spari ma stranamente non vi fanno caso. Proprio lì, alla base di un cespuglio, sono nati durante la notte parecchi funghi. I tre si avvicinano, si chinano e cominciano a raccogliere. Nel far ciò smuovono i rami del cespuglio. L’uomo armato coglie quel movimento, vede delle sagome che si muovono nella nebbia dietro al cespuglio. L’uomo punta il fucile e spara.
L’episodio che ho narrato è immaginario ma non lo è la situazione che esso descrive. In modi simili a questo ogni anno muoiono in Italia dalle 40 alle 50 persone. Questi fatti giungono all’opinione pubblica tipicamente solo attraverso brevi resoconti nelle cronache locali dei quotidiani nei quali ricorrono parole come “incidente” e “incredibile fatalità”, e ciò accade solo quando l’esito di questi episodi è mortale o comunque grave. Quando tutto si risolve “soltanto” in momenti di tensione e paura o nell’impossibilità di uscire di casa perché tutto intorno volano i proiettili, il comportamento abituale della stampa è ignorare i fatti come irrilevanti.
Esiste dunque una legge, in Italia e similmente in moltissimi altri Paesi del mondo, che autorizza per quasi 5 mesi all’anno centinaia di migliaia di uomini armati a fare libero uso di armi da fuoco su almeno il 70% del territorio extraurbano, comprese le proprietà private a prescindere dal consenso del proprietario, e lo fa senza imporre al “cacciatore” il rispetto di alcuna norma di sicurezza, a parte il mantenimento di una irrisoria distanza da edifici e strade principali.
Basti dire che, come l’aneddoto di apertura ci mostra, non è previsto alcun obbligo di sospensione dell’attività venatoria nemmeno in caso di nebbia, come invece il più elementare buon senso imporrebbe, né l’obbligo per il cacciatore di indossare calzature antinfortunistica, nonostante numerosi “incidenti” mortali siano avvenuti a causa della perdita di controllo dell’arma in seguito a cadute su terreni scivolosi.
Nessuna norma impone al cacciatore di non portare con sé persone non adeguatamente addestrate ed è anzi abitudine diffusa portare familiari e perfino bambini, i quali in più occasioni sono rimasti a loro volta vittime della “passione” a mano armata del loro congiunto.
Ma i morti sono solo la classica punta dell’iceberg, perché il problema caccia non riguarda solo chi osa avventurarsi nei boschi anche quando le sparatorie hanno inizio, e non è solo in luoghi privi di presenze umane (ammesso che ormai ne esistano) che esse si scatenano bensì anche nelle campagne coltivate (che, non dimentichiamolo, sono luoghi di lavoro) e spesso perfino in zone abitate, letteralmente in mezzo alle case. La sorveglianza è nella maggior parte dei casi nulla, la popolazione è abbandonata a se stessa e spesso vive nei fine settimana ore di autentico incubo. A questo proposito, riporto nel seguito alcune testimonianze risalenti alla scorsa stagione di caccia e giuntemi da varie parti d’Italia.
Così mi scrisse ad esempio una persona che vive a Zagarolo, per di più in una zona in cui il sindaco già dal 2004 ha imposto il divieto di caccia a tutela dell’incolumità pubblica e nella quale tuttavia si continua impunemente a sparare: «sabato ci sono state come al solito numerose fucilate provenienti dal vallone sotto casa mia. Ho chiamato la Polizia Provinciale ma mi hanno detto che di sabato le pattuglie sono poche e mi hanno suggerito di telefonare ai Carabinieri. Siamo alle solite».
E ancora, da Gallicano nel Lazio, dove da anni un’analoga ordinanza giace negli archivi comunali senza che nessuno si preoccupi di darle attuazione: «non ho da raccontare storie particolari ma eventi quotidiani. Ieri presso la mia casa stavo scavando per fare una tettoia quando ad un metro dalla mia recinzione sento sparare verso di me. Comincio a gridare contro questi individui ed essi mi rispondono che mi avevano scambiata per un cinghiale (sì, un cinghiale alto 170 cm con una zappa in mano!).
Quando ho provato a rivolgermi alle forze dell'ordine (carabinieri, vigili...) mi sono sentita rispondere: 'Lo so! Ma con tutti i casi che trattiamo quotidianamente questi fatti vengono messi in secondo piano! Provi a trattare e comunicare con questi cacciatori!' ...Certo, dopo che magari hanno impallinato uno dei miei bambini!».
Da San Fior, nel trevigiano: «abbiamo circa 10 ettati prevalentemente coltivati a vigneto dove quasi ogni giorno i cacciatori esercitano la loro "arte" facendone di tutti i colori. (…) Nell'art.7 della legge sulla caccia si dice che la caccia è vietata sui terreni in attualità di coltivazione, compresi i vigneti naturalmente, ma poi? Non sanno che sparando sugli impianti di irrigazione dei filari si causano danni anche se non v'è più uva sulle viti?»
Da Genova: «I miei genitori ieri hanno tentato di andare per funghi, sono dovuti tornare a casa perché pensavano di essere arrivati in Iraq. Anche io sono stufa di sentire spari da casa mia, abito in collina ma in zona molto abitata.»
Da Torvaianica, dove gli abitanti hanno chiesto anche loro nel 2007 un'ordinanza al proprio sindaco ricevendo la beffa di vedersela emanare a stagione di caccia conclusa e revocare poco prima che iniziasse la successiva: «sabato qui a Campo Ascolano i cacciatori hanno ferito un cane al quale hanno dovuto amputare una zampa...i residenti sono senza parole… volantini affissi ovunque ma aleggia la consapevolezza che contro questi delinquenti non si può fare niente... domenica erano fermi sul viottolo all'altezza del ponticello a 20 m dalle case, un passante li ha redarguiti e loro hanno risposto ' fatte i cazzi tua' ed alla minaccia 'chiamo la forestale' la risposta è stata 'chiama chi te pare'.
Si traggano le dovute conclusioni... siamo ostaggi dei cacciatori, questa è una realtà che mi sta portando agli attacchi di panico, tachicardia ed ansia... scusate lo sfogo».
Fucilate fra la gente, fucilate ovunque ci sia occasione di sparare. Perfino a ridosso degli aereoporti militari, come segnalò nel dicembre 2004 in una interrogazione parlamentare addirittura un senatore di AN.
Le testimonianze che ho riportato non sono recentissime ma questo è un dettaglio irrilevante: ogni anno si ripetono le stesse situazioni, si recita lo stesso incredibile copione. Un comunicato stampa della LAV veneta del 24 settembre 2009 riporta fatti del tutto analoghi risalenti a pochi giorni prima.
Rimane da capire come sia possibile che una simile situazione di illegalità diffusa si perpetui impunemente e, a monte di ciò, come sia possibile un vuoto legislativo e mediatico di questa portata su un fenomeno che, sia pur in lenta diminuzione, coinvolge un gran numero di persone in maniera spesso drammatica e a volte tragica.
A che Serve la Caccia?
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Aggiungo che ciò vale, fra i casi da lui citati, anche per la caccia di selezione, che si svolge appunto sul territorio aperto.
Per quanto riguarda il censimento degli incidenti di caccia, nel caso della stagione 2002/03, i cui conteggi sono di fonte LAC, le percentuali di casi dolosi su quelli colposi (cioè omicidi/suicidi su incidenti propriamente detti) è del 17% per i morti e del 8% per i feriti; come si vede una minima parte.
Negli anni successivi, abbiamo invece curato noi stessi il censimento e, come è chiaramente indicato nelle note esplicative che accompagnano i conteggi, i casi dolosi, pur citati per dovere di cronaca, NON sono stati considerati nel conteggio finale perchè non imputabili all'attività venatoria. Dunque, ad esempio, i 50 morti della stagione 2003/04 sono da attribuirsi tutti a cause connesse all'attività venatoria. Omicidi e suicidi sono considerati casi a sé e, ripeto, NON inseriti nel conteggio finale.
Colgo l'occasione per fare una precisazione su questo punto. Alcuni anni fa mi sono beccato le maledizioni dell'Associazione Vittime della Caccia la quale, pur svolgendo su ogni altro aspetto del problema un ottimo lavoro, commette insistentemente l'errore di mescolare casi colposi (ovvero gli unici che possano essere chiamati incidenti di caccia) e casi dolosi (omicidi e suicidi anche solo debolmente e indirettamente connessi con l'esistenza della caccia). Ci tengo a chiarire che si tratta di due problematiche completamente diverse e il fatto che vi sia una relazione di causa-effetto fra caccia ed episodi dolosi non mi risulta che sia dimostrato. Il cacciatore è in altre parole pericoloso per la collettività per ciò che involontariamente può provocare per effetto di oggettive condizioni operative (uso di armi da fuoco in ambiente incontrollabile) e non per eventuali atti dolosi derivanti da una sua (non dimostrata) aggressività superiore alla media.
Della prima di queste due problematiche, e solo di essa, io mi sono occupato. E credo che sia sufficiente.
Quanto all'accusa finale, mi pare evidente che io null'altro faccio che esporre fatti e trarne deduzioni. Se questo significa essere "tronfi" lascio che sia chi legge a deciderlo.
Filippo Schillaci.