Tutto nasce nei mesi scorsi, quando il governo dispone per decreto che la Sogin, già Fabbricazioni Nucleari (Enea), avvii la dismissione del sito di Bosco nucleare-7Marengo, dove sono custoditi 550 fusti di combustibile nucleare. Immediata la protesta di Medicina democratica, Legambiente, Pro Natura e Movimento per la Decrescita Felice, che ricorrono al Tar del Piemonte: «Il decreto è illegittimo - sostengono - perché contrasta con la legge del 2003 che impone che i materiali radioattivi siano custoditi in un sito nazionale super-sicuro, peraltro non ancora individuato». Il Tar di Torino dà loro ragione, avviando una disputa tuttora aperta.
Per cercare di ribaltare il verdetto a proprio favore, la Sogin sostiene che le operazioni di smantellamento di Bosco Marengo hanno un “evidente carattere di pericolosità nazionale”, tanto da chiedere che la competenza giudiziale passi da Torino al Consiglio di Stato, a Roma. Solo il tempestivo intervento di Beppe Grillo, con il sostegno finanziario per le spese giudiziarie, consente agli ecologisti - già reduci da una raccolta di fondi per le prime spese legali - possano sostenere le loro ragioni, attraverso l’avvocato Mattia Crucioli, al tribunale amministrativo della capitale.
In attesa che il Consiglio di Stato emetta la sua sentenza - ritardata dalla documentazione aggiuntiva presentata in extremis dalla Sogin - gli ecologisti alessandrini ora passano al contrattacco e si rivolgono direttamente alla Procura della Repubblica. «Mentre il Parlamento approvava il rilancio governativo del nucleare in Italia (insicuro, antieconomico, inquinante), attraverso un esposto abbiamo chiesto alla Procura di Alessandria di verificare la sussistenza di ipotesi di reato nei lavori avviati a Bosco Marengo», afferma Lino Balza di Medicina democratica, portavoce della battaglia anti-nucleare di Alessandria.
Nel mirino degli ecologisti, le operazioni di smantellamento dell’impianto nucleare e il seppellimento «a tempo indeterminato» delle scorie radioattive, che farebbero di Bosco Marengo un deposito autorizzato: «Il primo fra quelli che Sogin, il braccio armato del governo, vuole imporre nel Paese». Di parere contrario le amministrazioni locali: Comune, Provincia e Regione sostengono che, dato che i fusti radioattivi sono già stoccati a Bosco Marengo, il loro “seppellimento” non ne aumenterebbe la pericolosità.
Un deposito necessariamente temporaneo, per la Regione, in attesa che l’Italia si doti di un sito sicuro per lo stoccaggio nucleare, preparandosi a ricevere entro il 2020 le scorie radioattive parcheggiate in Francia all’epoca in cui le centrali italiane erano attive. Non la pensano così gli ambientalisti: «Il sito di Bosco Marengo, definito temporaneo, in Italia rischierebbe di diventare permanente. E l’ok per Bosco Marengo aprirebbe la strada, a cascata, all’autorizzazione altrettanto “temporanea” degli altri siti nucleari italiani, dove sono custodite scorie di ben maggiore radioattività».
Per questo, quella di Bosco Marengo resta una trincea strategica, secondo gli ambientalisti alessandrini che ora si sono rivolti anche alla giustizia penale. «Dalla Procura - aggiunge Balza - ci aspettiamo che intervenga d’urgenza a sospendere i lavori che provocano grave pericolo a lavoratori, popolazione e ambiente, lavori decretati dal governo ma non consentiti dalla legge senza che sia stato prima predisposto l’apposito ultrasicuro deposito nazionale». Lavori non vagliati da una valutazione di impatto ambientale e, si teme, «privi addirittura delle prescritte autorizzazioni dell’Ispra (su piani operativi e progetti particolareggiati di disattivazione) per garantire sicurezza e radioprotezione». Anche per questo, Balza e colleghi si attendono che l’autorità giudiziaria alessandrina «ordini controlli medici e ambientali sugli effetti che l’avviamento di tali lavori può aver già provocato sulle persone e il territorio».
Articolo tratto da www.libreidee.org
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