È bastato che passasse qualche giorno e, sfortunatamente, ecco scoprire che in realtà niente di tutto ciò era vero (verificatelo da soli leggendo il focal point sull’argomento dell’IPCC), con buona pace dell’ormai sempre più discutibile informazione italiana (ecco cosa riportava il Corriere della Sera).
È di questi giorni un’ulteriore notizia, secondo la quale decine di banchi di ghiaccio delle dimensioni di un centro commerciale si starebbero staccando dall’Antartide. Secondo una squadra di ricercatori britannici, poi, una zona delle dimensioni della Giamaica, circa 11000 Km2, , resta “attaccata” ai ghiacci antartici solo grazie ad una sottile striscia di ghiaccio. Questo fenomeno viene documentato anche attraverso le immagini satellitari mostrate dalla CNN.
La temperatura nelle zone “estreme” del pianeta è aumentata negli ultimi 50 anni di cinque gradi fahrenheit; secondo gli scienziati se si dovesse continuare così, un intero ecosistema formatosi in milioni di anni potrebbe essere a rischio.
Il distacco di questi grossi iceberg e lo scioglimento dei ghiacci non dovrebbe infatti far alzare in maniera significativa il livello degli oceani, ma permetterebbe alle acque di entrare sempre più in profondità verso il cuore del Polo Sud, accelerando ed intensificando così questo fenomeno.
Ma queste tendenze sono irreversibili? E se non lo sono quanto dovremo ancora aspettare prima che lo diventino? Molto poco pare, o almeno così ha sostenuto il premio Nobel Al Gore davanti al Congresso degli Stati Uniti in un’ennesima tappa della sua crociata contro il riscaldamento globale.
Facendo riferimento allo studio del Noaa che ipotizza le conseguenze del global warming, Gore spiega che “immettendo 70 milioni di tonnellate di inquinanti climatici nel sottile strato di atmosfera che circonda il pianeta, arriviamo sempre più vicino a molti e pericolosi punti di non ritorno che rischiano di renderci impossibile l’evitare la distruzione irreparabile di quelle condizioni che hanno reso possibile la civilizzazione di questo pianeta”. Non sarà la fine del mondo, quindi, ma della sua vivibilità, ammonisce.
Qual è la via d’uscita? Cosa dobbiamo fare (al punto in cui siamo il condizionale non è più ammissibile) per riparare a decenni di errori? Secondo Gore, la via è tracciata e include i quattro punti fondamentali del programma verde del nuovo presidente Barack Obama:
- massicci investimenti in efficienza energetica e fonti di energia rinnovabili,
- la costituzione di una rete unificata nazionale per l’energia
- il percorso verso le auto ecologiche.
Questi investimenti dovrebbero da un lato creare nuovi posti di lavoro dall’altro costituire le fondamenta di una nuova leadership americana in quella che dovrebbe essere per il mondo intero una rivoluzione “verde”.
Tutto ciò però non basta perché, come dicevamo, il punto di non ritorno è molto vicino e l’inversione di rotta deve essere quindi forte, decisa e tempestiva. Aspettare ancora significherebbe correre un rischio le cui conseguenze non sono facilmente calcolabili.
Non sappiamo se il punto di non ritorno sia veramente così vicino e crediamo che non sia semplice calcolarlo correttamente. Certo è improbabile che nei prossimi mesi i paesi occidentali riescano a compiere passi reali e significativi verso l’indipendenza dai combustibili fossili.
Speriamo quindi che il congresso americano decida veramente di agire in questa direzione supportando le proposte di Gore sia a livello di politica interna che estera. Solo gli Stati Uniti, infatti, sono in grado di “spingere il mondo a cambiare”. Ma per farlo dovranno prima cambiare loro.
1 Febbraio 2009 - Scrivi un commento