Il buco dell’ozono sarà anche scomparso dai giornali, ma non è certo svanito dalla realtà. Una nuova ricerca dimostra che se l’ozono si ricostituirà, lo farà in modo estremamente irregolare: non tornerà mai come era prima che l’uomo lo influenzasse attraverso le sue emissioni.
Ma cos’è esattamente l’ozono?
L’ozono costituisce una fascia atmosferica, tra i 20 e i 50 km di quota, che assorbe i raggi ultravioletti del sole. Senza questo filtro saremmo direttamente esposti ai raggi UV, che aumentano il rischio di cancro.
Susan Solomon, premio Nobel per la pace 2007, è stata tra le prime ricercatrici a spiegare la riduzione dell’ozono. Nell’86 guidò una spedizione là dove si stava creando il temuto buco: sopra l’Antartide.
In seguito a questa missione fu rivelato che i ‘mangiatori dell’ozono’ erano i CFC (clorofluorocarburi), immessi nell’atmosfera dall’uomo. Dopo neanche un anno queste sostanze furono messe al bando attraverso il protocollo di Montreal.
Il problema sembrava dunque risolto, tant’è che molti scienziati promettevano che entro pochi decenni l’ozono sarebbe tornato ‘come prima’, ovvero come negli anni ’60.
Il divieto dei CFC, però, non è stato sufficiente: da un recente studio risulta che l’ozono viene influenzato anche da altre emissioni umane, tra cui la celebre CO2.
Il modello di Feng Li mostra come in alcune parti del pianeta l’ozono potrebbe riformarsi, ma in altre - tra cui l'Antartide - potrebbe rimanere assai ridotto.
Per quel che riguarda il buco nell’ozono una cosa è chiara: “Chiunque capisce che un eccesso di ultravioletti può favorire il cancro”, spiega Susan Solomon. “Invece, a proposito del cambiamento climatico molti dicono: ‘Cosa vuoi che sia qualche grado in più?’. Ma noi sappiamo che esso avrà effetti multipli, come la riduzione delle piogge in immense regioni, l’innalzamento del livello degli oceani, ecc.”
Vi è incertezza anche riguardo al quando verremo colpiti da questi fenomeni; e questa incertezza lascia un margine di rischio.
“Fino a che punto siamo pronti a rischiare?”, si interroga la ricercatrice americana. “La crisi finanziaria ci ricorda che bisogna sempre tenere conto dei rischi che si corrono”.
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