Quest’anno, per la prima volta dalla sua istituzione, il podio dell’indice rimane vuoto e questo perché - secondo il German Watch - nessuna nazione è ancora riuscita a imboccare la strada giusta per mantenere l’aumento della temperatura terrestre sotto i 2 gradi entro il 2050 rispetto ai livelli registrati nel 1990 (è aumentata di 0,74 ± 0,18 °C durante gli ultimi 100 anni).
Non hanno quindi da gioire Svezia, Germania e Francia, piazzatesi rispettivamente al quarto, quinto e sesto posto, ma sicuramente hanno davvero da piangere gli ormai storici fanalini di coda: Stati Uniti, Canada e Arabia Saudita. Se infatti le prime della classe fanno tanto, ma non abbastanza, il dramma di chi sta in fondo alla classifica è che non solo non fa, ma sembra non avere intenzione di fare niente pur avendone tutte le possibilità e soprattutto le necessità.
Il giudizio sulla politica climatica messa in atto dalle singole nazioni è, infatti, uno dei 3 parametri utilizzati nella compilazione della classifica, ed è così che la Repubblica Koreana con una politica sempre più attenta all’inquinamento passa dal cinquantaquattresimo posto dell’anno scorso al quarantunesino di quest’anno, tre posti sopra l’Italia.
Sì, l’Italia si trova nella parte medio bassa della classifica, una zona alla quale siamo ormai abituati; il quarantaquattresimo posto di quest’anno equivale infatti al quarantunesimo dell’anno scorso, se teniamo conto del podio vuoto che ha fatto scivolare ogni nazione in basso di 3 posizioni. “Teniamo!”, potrebbe dire qualche inguaribile ottimista, “coliamo sempre più a picco” si potrebbe invece affermare considerando l’andamento degli ultimi tre anni in cui abbiamo perso ben tredici posizioni.
Era inevitabile. Lo stato italiano non ha mai messo mano alla costruzione di una politica ambientale organica capace di incidere a qualunque livello sulle emissioni di CO2 prodotte nel nostro paese e questo si riscontra in maniera evidente nelle valutazioni del German Watch in cui il giudizio sulla politica climatica è il più basso insieme a quello di Stati Uniti e del Canada; persino stati africani come Marocco (20° in classifica generale) e Algeria (26°), o mediorientali come l’Iran (39°), hanno politiche climatiche più efficaci, ma prima di tutto hanno una politica climatica!
Le cose, però, potrebbero andare peggio, e forse riusciremo a fare in modo che sia così. La staticità della nostra posizione in classifica è dovuta, infatti, alle poche misure ambientali adottate in questi anni. Tra queste il conto energia per il fotovoltaico (grazie al quale il cittadino che decide di installare pannelli solari viene rimborsato del suo investimento) e gli incentivi del 55% per l’efficienza energetica degli immobili.
Ma le dichiarazioni di questi giorni del ministro dell’economia Giulio Tremonti ci dicono che anche queste isolate disposizioni saranno a rischio a partire dal prossimo anno.Non fosse sufficiente, ci ha pensato il Primo Ministro Berlusconi a polemizzare e minacciare veti (solo politici, dato che il diritto di veto non è pertinenza del Primo Ministro italiano) sull’approvazione del pacchetto clima europeo “20-20-20”, aiutandoci a capire ancora più chiaramente l’orizzonte culturale in cui l’Italia si muove rispetto al clima.
Indipendentemente da come si risolverà la questione, pare infatti evidente come ancora una volta il nostro Bel Paese si dimostri scarsamente lungimirante, preferendo la protezione di interessi economici particolari - tutti da valutare – rispetto ad un tema centrale per l’ambiente e l’economia, come quello della lotta al riscaldamento climatico.
Di questo passo saranno sufficienti 5 anni a portare l’Italia nei bassissimi fondi del climate change performance index.
Invertiremo la rotta?
10 Dicembre 2008 - Scrivi un commento