di Ezio Bertok
L’acqua può portarci lontano.
Torino, ore 20:30, riunione informativa/organizzativa promossa dal Coordinamento Torinese Referendum per l’Acqua Pubblica. Centoventi, centotrenta persone che saltano la cena, età media tra i 25 e i 30 con poche eccezioni sopra i 40, solo la bravissima e fresca Mariangela Rosolen al tavolo ed io in platea ad alzare decisamente la media, clima di grande entusiasmo, direi euforico, grande voglia di fare, molta concretezza.
Mi sono chiesto cosa spinga tanti giovani a sentire il problema dell’acqua un “loro” problema a tal punto da buttarsi con tanto slancio in un’avventura referendaria che di per sé non sembrerebbe giustificare tanto entusiasmo: in fondo dello strumento dei referendum si è abusato non poco negli anni e i risultati sono spesso stati deludenti. Ma forse molti di loro, data l’età, non hanno ancora avuto molte occasioni per accorgersene. Resta il fatto che raccogliere firme per un referendum non è proprio il massimo: c’è di meglio nella vita, anche sul piano dell’impegno sociale e/o politico.
Anche il principio su cui si basano i quesiti referendari (la gestione dell’acqua dev’essere pubblica), secondo me spiega solo in parte questo entusiasmo. I giovani hanno sviluppato, come arma di difesa, talmente tanti e tali anticorpi per sopravvivere alla precarietà e all’incertezza che il futuro riserva loro, che non sarà certo il rischio di quel 20% in più di costi dell’acqua privata dal rubinetto a metterli in crisi, e se per caso avranno un lavoro, chissà, forse anche una casa senza doverla condividere con l’amico o l’amica potranno magari permettersi il lusso intorno ai quarant’anni di fare figli.
Le ragioni vere devono essere altre. Nell’immaginario collettivo l’acqua e l’aria sono beni comuni inalienabili, e sembra talmente assurdo che qualcuno possa appropriarsene per rivenderceli a caro prezzo che scatta la reazione immediata. Sicuramente c’è anche questo, forse soprattutto questo, ma forse non basta ancora a dare una spiegazione. L’aria che respiriamo non ci viene forse avvelenata tutti i giorni, e per i cibi che mangiamo non vale altrettanto? Eppure non è mai scattato un analogo meccanismo di reazione. Forse la consapevolezza che l’accesso all’acqua potabile è un privilegio che non tutti si possono permettere nel mondo? Anche questo c’è, ma ancora non basta. E allora?
C’è indubbiamente un grande e diffusa domanda di non essere solo sudditi ma protagonisti. È una domanda che raramente trova occasioni e sedi per esprimersi. Cos’è che fa sì che un referendum venga visto come una risposta credibile e un’occasione da non perdere?
Secondo me però c’è anche dell’altro, di meno profondo e più banale, che pure non toglie nulla alla nobiltà di cui sopra. Spero di non essere frainteso.
Sull’acqua viene fatta oggi una proposta semplice, concreta, tutto sommato facile da seguire, che richiede un po’ di impegno, che non consente tanti distinguo, che non prevede di rimettere in discussione un cammino avviato né le sue modalità; ognuno certo ci mette un po’ del suo ma avendo ben chiaro cosa deve fare e dove spera di arrivare, e senza doversi preoccupare che il compagno che raccoglie le firme con lui rimetta in discussione tutto.
C’è forse anche dell’altro, perché nasconderlo: la ricerca di una risposta semplice a domande difficili, ad un bisogno profondo di certezze; la richiesta che qualcuno indichi una strada, un po’ di delega insomma (sembra un paradosso). C’è anche in questo atteggiamento (anche qui corro il rischio di essere frainteso) una qualche analogia con quanto avvenuto alle ultime elezioni regionali e in quel largo consenso ottenuto da alcune liste: ti vedo al mio fianco, mi offri una soluzione e zac, ti voto. Molto più facile che scegliere cosa buttare (molto) e cosa salvare (poco) di vecchie esperienze vissute per costruirne di nuove.
Ripeto, se esistono anche queste ragioni, certo non gettano alcuna ombra sulla freschezza dell’entusiasmo che questi giovani, e anche altri meno giovani, mettono nel loro impegno nella battaglia per l’acqua pubblica. Le speranze di un’altra politica, di una Democrazia a Km zero, non possono che venire da qui.
Da tante parti oggi ci si guarda intorno smarriti alla ricerca di una via di fuga e spesso siamo talmente assordati dal frastuono mediatico che ci circonda e ci è così difficile scrollarci di dosso le scorie che abbiamo accumulato, che siamo sempre meno capaci di ascoltare e viene da alzare la voce per farci sentire. Ci si fa prendere dal panico e si corre alla ricerca di improbabili scorciatoie salvo rischiare di ritrovarsi poi a braccetto in quattro gatti in un vicolo cieco a chiederci dove stiamo andando. Finisce che neanche ci si diverte.
Nella battaglia per l’acqua pubblica non c’è il disordine della valsusa, ma l’entusiasmo è lo stesso. Anche qui il giocattolo funziona e tutti insieme si divertono. E anche qui non c’è nessuno che mette i bastoni tra le ruote.
Sembra di essere al cinema per un bel film che promette un lieto fine e accorgersi che stai scrivendo anche tu la sceneggiatura, che curi anche tu la regia e la fotografia. È una bella sensazione. Potrebbe essere un film capace di suscitare altri scatti d’orgoglio e indignazione, e soprattutto voglia di reagire di fronte ai tanti presidi di democrazia incendiati quotidianamente, di fronte alla deriva razzista, di fronte ai diritti e agli spazi di partecipazione cancellati dalle segreterie dei partiti, di fronte alla logica del “tutti contro tutti e si salvi chi può”.
Forse non è un film, ma un progetto, una risposta alla cultura leghista che dalla padania sta dilagando e non trova argini capaci di fermare la marea di liquami.
Che l’argine cominci a nascere dalla battaglia per l’acqua pubblica?
Articolo tratto da www.fabionews.info/
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