Niente di nuovo. Una maglia in più nella rete di malaffare che emerge dalle indagini delle magistrature italiane. Chi credeva di aver afferrato qualche filo si è ritrovato in mano una enorme matassa difficilissima da districare. Praticamente impossibile da circoscrivere. Una rete che avvinghia il nostro paese in tutto il suo territorio e probabilmente oltre i confini nazionali.
Ma torniamo al caso siciliano. Tutto ha inizio nel 2002 con una gara di appalti per la costruzione di quattro inceneritori a Bellolampo (Palermo), Casteltermini (Agrigento), Paternò (Catania) e Augusta (Siracusa). La gara è indetta da Salvatore Cuffaro, detto Totò, che ai tempi rivestiva il triplice incarico di Presidente della regione Sicilia, commissario straordinario per l'emergenza idrica e di commissario delegato per l'emergenza rifiuti. È proprio in quest'ultima veste che Cuffaro si occupa della costruzione degli inceneritori.
Ad aggiudicarsi gli appalti sono quattro raggruppamenti di imprese: la Pea, la Platani Energia Ambiente, la Tifeo e la Sicil Power. Tre Ati sono capeggiate dal gruppo Falck e uno da Waste Italia. Ma i lavori fanno appena in tempo ad iniziare – siamo nel 2007 – che una sentenza della Corte di Giustizia Europea blocca la costruzione degli impianti, annullando la gara per il mancato rispetto della procedura di evidenza pubblica imposta dalle direttive europee.
Accade, ancora, che la questione degli inceneritori inizi a saltare fuori in troppe inchieste. Si inizia ad intuire che quello che inizialmente sembrava un vizio di forma nasconde ben altro. Alcuni dirigenti della Safab - società facente parte della appaltatrice Pea – sono condannati per corruzione. La Altecoen, una delle ditte partecipanti alla gara d'appalti, risulta priva della certificazione antimafia e viene indicata come vicina al boss Nitto Santapaola.
Vengono indette altre due gare d'appalto pubbliche, che vanno misteriosamente deserte, mentre in tutta la regione esplode l'emergenza rifiuti. Il quadro investigativo che si delinea agli occhi dei pm è quello di un accordo tra le quattro Ati aggiudicatarie che, con la compiacenza di funzionari pubblici a cui sarebbero andate tangenti, si sarebbero spartite a tavolino i lavori e poi, dopo la bocciatura europea, avrebbero fatto andare deserte le gare successive per indurre la Regione ad abbandonare la strada del bando pubblico.
Un quadro che le recenti dichiarazioni dell'attuale governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, delineano ancora più chiaramente. “Quello dei termovalorizzatori è l'affare del secolo – ha affermato Lombardo che compariva davanti ai pm come persona informata sui fatti – le sue dimensioni superano i 5 miliardi di euro; su di esso certa politica e la mafia si sono incontrati e alleati".
In questa direzione vanno le dichiarazioni del presidente della commissione Ecomafie, Gaetano Pecorella, che pochi giorni fa ha affermato che per risolvere la questione rifiuti al sud “non basta solo la repressione: [...] mancano i termovalorizzatori”. Stessa linea per il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, che neanche una settimana fa ha promesso l'immediata costruzione di un inceneritore a Bellolampo.
Insomma, questi inceneritori s'hanno da fare. Magari, data la situazione d'emergenza, si salterà persino la gara di appalti pubblica. E le imprese mafiose continueranno a prosperare, nel campo che a loro più piace e si addice, quello dei rifiuti.
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