Non si tratta ovviamente di un’attività obbligatoria, ma chi vi partecipa ha la possibilità di portare a casa ortaggi freschi coltivati con le “proprie mani”. “È come se dicessero: è vero, non possiamo darvi un aumento, ed è vero che sono tempi duri, ma questo è qualcosa che possiamo fare per migliorare la qualità della vostra vita”, spiega Bruce Butterfield, direttore dell’associazione no-profit National Gardening.
Le prime a mettere in atto tale iniziativa sono state corporation gigantesche quali Google e Yahoo che, trovandosi nella Silicon Valley, avevano a disposizione un territorio adatto. Con l’avanzare della crisi economica però, gli orti “della pausa pranzo” hanno preso piede anche in aziende che non possiedono molto spazio. In mancanza di veri e propri campi, gli orti sono stati collocati nei cortili interni, nelle ex-aree fumatori o addirittura sui tetti degli edifici.
Da dove viene questo pollice verde?
La coltivazione personale offre in effetti numerosi vantaggi. Da un punto di vista della salute il beneficio sta sia nel passare la pausa pranzo all’aria aperta sia nel nutrirsi con cibi più sani. Economicamente vantaggioso è invece il fatto che i partecipanti possano portarsi a casa ortaggi freschi pagando al massimo 10 dollari a stagione. È ciò che succede nel colosso cosmetico Aveda, che in cambio di un modesto pagamento mette a disposizione terra, semi e attrezzi.
Vi è anche un terzo vantaggio di natura meno “materiale”, spesso sottovalutato: “Zappare la terra insieme incoraggia a superare le gerarchie dell’ufficio; nell’orto siamo tutti allo stesso livello”, spiega Sheila Golden, senior manager di PepsiCo.
Numerosi vantaggi, ma anche altrettanti problemi, per alcune aziende, infatti, la difficoltà sta nel trovare il terreno. Anche dove lo spazio non manca, i terreni che circondano gli edifici sono spesso contaminati da additivi chimici o da materiale usato per la costruzione edile, inadatti quindi alla coltivazione.
Eppure se il primo dei presupposti, la motivazione, non manca, si risolvono facilmente questi e altri problemi. E chissà se gli orti “della pausa pranzo” si espanderanno ulteriormente, oltrepassando i confini degli Stati Uniti, e magari raggiungendo un giorno anche l’Italia, il paese del buon cibo per eccellenza.
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