Se alcune tragedie naturali (come i terremoti) sono difficicili da evitare e possono essere solo previste, altri disastri ecologici, come le frane (470 in 50 anni), sono la triste risultante di un grave dissesto ecologico iniziato negli anni 70 e al quale non si è ancora messo veramente riparo.
L’abbandono delle montagne, l’abusivismo edilizio, il disboscamento incontrollato, l’utilizzo di mezzi e tecniche agricole indifferenti al benessere ambientale, l’apertura di cave di prestito, l’occupazione di zone di pertinenza fluviale, l’estrazione di acqua e gas dal sottosuolo, solo per citarne alcuni, sono tra i fenomeni che hanno aumentato la precarietà del nostro territorio. Quando le conoscenze in materia di salvaguardia ambientale erano ancora limitate, se non del tutto assenti, in Italia si è costruito in zone considerate ad alto rischio sismico, come negli antichi borghi e nei centri storici che oggi rappresentano parte della nostra ricchezza artistica e culturale, condizione che ci spinge di fronte a un difficile bivio ideologico-morale : come garantire la sicurezza degli abitanti (apportando quindi le necessarie modifiche territoriali) senza offendere o rovinare questo patrimonio inestimabile ?
BIVIO REALE O FITTIZIO ?
Evacuare le zone a rischio e lasciarci la possibilità di visitare questi luoghi attraverso le miracolose ricostruzioni che la tecnologia in 3D è oggi in grado di offrire sembra un’alternativa alquanto sterile ma forse inevitabile. Non si può esitare o azzardare a mercanteggiare quando a rischio vi sono centinaia di vite umane (ma una sola varrebbe). La questione è un’altra : cosa fa l’Italia (il Governo italiano) per far fronte al rischio di catastrofi « naturali » ? Come e quanto si adopera per salvaguardare la vita dei suoi abitanti ? Il bilancio con il quale il WWF ha concluso il 2009 non fa certo ben sperare. Dalla tragedia de l’Aquila all’alluvione di Messina, alle frane di Ischia, Garfagna e Versilia, quadro disastroso aggravato dai sempre più violenti effetti causati dai mutamenti climatici e dagli ormai decennali problemi di inquinamento. La situazione sembra destinata a peggiorare poiché nei prossimi anni la crescita dei gas serra in atmosfera modificherà il ciclo idrico aumentando considerevolmente l’intensità delle piogge e moltiplicando le trombe d’aria.
Servono quattro miliardi di euro per risanare il sistema idraulico italiano, più o meno la somma che l’Italia spende ogni anno per far fronte ai danni provocati da frane e alluvioni (21 miliardi di euro tra il 1994 e il 2004 – 700 morti tra il 1973 e il 2001), soldi che verrebbero quindi recuperati nell’arco di pochi anni. Quattro miliardi di euro per rendere più sicuri torrenti, rogge, pendii collinari, canali e per salvaguardare l’esistenza di città come Mantova e Venezia, di luoghi pubblici come l’aereoporto di Fiumicino, di arterie di collegamento come l’autostrada Firenze mare o il sistema di ferrovie Roma-Napoli.
Quattro miliardi di euro per garantire un risparmio di denaro futuro, ma soprattutto per evitare di « spendere » altre vite umane. Questo solo dovrebbe contare.
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Esiste ora un sistema brevettato,che smaltisce i r.s.u. incorporandoli in blocchi di cemento,che possono avere forme varie e misure da quella di un mattone a quella di un container.
Il sistema in argomento ha il vantaggio di costare molto meno delle discariche e degli inceneritori, di non inquinare assolutamente e, di poter sfruttare i blocchi ricavati per risolvere in economia molti problemi, compreso quello della messa in sicurezza con poca spesa,di molti siti a rischio idrogeologico.
Posso essere più preciso in merito con chi ne sia interessato.
Genova aldocannavo@fastwebmail.it