A sua volta, l’area sulla quale sorgerà la nuova base statunitense, ubicata sul confine tra i comuni di Vicenza e Caldogno e attraversata dal fiume Bacchiglione, è una zona ricchissima in questo senso: nel suo sottosuolo è presente una delle maggiori falde acquifere di tutto il nord Italia.
Si tratta di un bacino da oltre 3 miliardi di metri cubi che fornisce acqua potabile a Vicenza e ad una trentina di comuni limitrofi, per un totale di circa 270.000 abitanti e di 28 milioni di metri cubi d’acqua erogati all’anno.
La Regione Veneto, inoltre, nell’ambito della pianificazione degli acquedotti regionali, ha deciso che parte dell’acqua vicentina va destinata anche a parte delle provincie di Rovigo, Padova e Venezia. La costruzione della nuova base militare, però, costituirebbe un altissimo fattore di rischio per le falde sotterranee vicentine, già minacciate dall’inquinamento causato dalle industrie e dall’agricoltura locali.
Fin dal 2007 alcuni tecnici indipendenti e il Comitato No Dal Molin hanno individuato diversi fattori di rischio che potrebbero creare danni strutturali alla falda acquifera e compromettere in modo irreversibile le riserve d'acqua presenti nel sottosuolo.
Il primo fattore è dato dalla piezometria del terreno: in una relazione del prof. Ricciardi, consulente di Paolo Costa (il Commissario straordinario del Governo per la realizzazione degli interventi necessari all’ampliamento dell’insediamento militare U.S.A.) si legge che l’area Dal Molin raggiunge una quota media di 1 metro sotto il piano campagna.
Questo cosa significa? In parole semplici: che scavando poco più di 1 metro sotto terra, si trova l’acqua. Anche nella Relazione Descrittiva del Progetto della nuova base la piezometria viene indicata a circa 2 metri sotto il piano campagna, ma, al tempo stesso, si dichiara che per i fabbricati multipiano (alti più di 20 mt) verranno adottate fondazioni su pali a scostamento, in cemento armato, di una lunghezza tale da attestarsi a circa 25 metri sotto il piano campagna.
Gli edifici di nuova costruzione poggerebbero su migliaia di pali impermeabili all’acqua conficcati nella falda, formando così una “diga” che impedirebbe all’acqua di defluire in modo naturale, costringendola a risalire verso la superficie.
Secondo Eugenio Viviani, ingegnere civile, “nella zona delle officine sono previsti due separatori acqua-olio, senza specificare dove finisca l’olio. E non si può non considerare l’ipotesi di incidenti con materiali pericolosi".
Grande preoccupazione desta anche l’enorme richiesta di acqua fatta dalla SETAF (South European Task Force) alla AIM-Aziende Industriali Municipali Vicenza S.p.A di 60 litri al secondo e, per il periodo di picco, addirittura di 260 litri al secondo.
Richiesta, quest’ultima, respinta dalla AIM perché equivalente al consumo di acqua pari ad un quarto di quello della città. Secondo il Comitato No Dal Molin, all’enorme richiesta di acqua si aggiunge il fatto che nulla impedirebbe ai militari americani di scavare un pozzo autonomo all’interno della base, come peraltro sarebbe già stato fatto per la Caserma Ederle.
Da un’interrogazione fatta a gennaio 2009 al sindaco di Vicenza, Achille Variati, emerge anche il rischio di esondazione del fiume Bacchiglione. Pare che il Genio Civile abbia alzato l'argine sinistro del Bacchiglione (cioè verso l'area Dal Molin), lasciando più basso quello destro (oltre il quale si trova una zona residenziale).
A Variati viene chiesto di fare chiarezza sui lavori in corso lungo l'argine sinistro del fiume Bacchiglione, a ridosso della nuova base U.S.A. e di attivarsi al fine di scongiurare l’alto rischio di allagamento. In caso di piena, infatti, il fiume esonderebbe solamente dalla riva destra del fiume, allagando le case dei vicentini.
Ma il timore dei comitati cittadini e degli esperti, però, è che alcuni di questi rischi si siano già verificati e che la falda acquifera vicentina sia in serio pericolo. Il Comitato No Dal Molin ha documentato come il cantiere sia diventato un acquitrino e come l’acqua che emerge in superficie venga scaricata nel Bacchiglione insieme alle acque reflue del cantiere, quando le prescrizioni prevedono che le acque reflue debbano essere trattate e scaricate nella fognatura.
Domenica 31 gennaio 2009 gli attivisti hanno anche fotografato la presenza di particolari idrovore che la V.INC.A. (la Valutazione d’Incidenza Ambientale) aveva tassativamente vietato per i danni che potrebbero provocare al delicato assetto idrogeologico dell’area.
L’ipotesi degli esperti è che i pali per le fondamenta stiano facendo da diga e che abbiano provocato il fenomeno del drenaggio, come sottolinea l’ingegnere Guglielmo Vernau “la palificazione realizzata per le fondamenta degli edifici sta impedendo il regolare deflusso dell’acqua”.
Anche Lorenzo Altissimo, direttore del Consorzio Idrico Novoledo (che ha il compito di rilevare i parametri del sistema idrologico "Astico-Bacchiglione", utilizzato per l'approvvigionamento idropotabile dagli acquedotti di Vicenza e Padova) conferma, in qualità di tecnico, le preoccupazioni dei vicentini: “Se è stata colpita la falda i danni saranno irreparabili”.
Da mesi i vicentini chiedono delucidazioni sullo stato della loro falda acquifera e, finalmente, il prossimo 26 febbraio, per la prima volta dall’inizio dei lavori, è stato predisposto un tavolo tecnico sull’andamento del cantiere, al quale saranno presenti il commissario Costa, il sindaco Variati e i tecnici che stanno seguendo i lavori.
Oltre a chiedere un aggiornamento sull’evoluzione del cantiere e sulle tappe previste per il prossimo trimestre, il sindaco rivolgerà ai committenti della base una serie di domande formulate sia dai comitati cittadini che dalle istituzioni locali e alle quali nessuno ha ancora dato risposte.
Da parte loro, i committenti della base si sono impegnati ad aprire le porte del cantiere una volta al mese ad una commissione di tecnici indipendenti. Dall’altra, il giorno prima del tavolo tecnico, il Comitato NO Dal Molin terrà un convegno pubblico nel quale presenterà le foto e i dati tecnici raccolti in queste settimane e che portano qualsiasi tecnico indipendente ad un’unica conclusione oggettiva: la falda è a rischio.
Ma le preoccupazioni dei vicentini non si fermano qui. Oltre al prezioso bacino di acqua potabile, ci sono forti preoccupazioni su altri potenziali effetti collaterali del cantiere.
Poi c’è l’impatto visivo che gli edifici militari, soprattutto quelli alti più di 20 mt, avranno sulle viste panoramiche e prospettiche della zona e che difficilmente si potranno integrare in un contesto di case rurali sparse e di edilizia residenziale.
E, infine, vanno considerati i potenziali effetti negativi sul patrimonio archeologico vicentino, dal momento che il cantiere insiste sui resti dell’acquedotto romano e di un’importante struttura insediativa dello stesso periodo, e su di un villaggio paleo veneto databile all’ 8.000 a.C. - scoperta quest’ultima di grande interesse, che farebbe retrodatare di molti secoli le origini della città.
Se a giugno 2009 la Soprintendenza aveva scavato delle trincee e iniziato ad indagare la zona senza problemi, a dicembre 2009 ha dovuto sospendere i lavori perché +b>le trincee si sono allagate. Anche questo sarebbe dovuto ad un pericoloso innalzamento della falda acquifera, che, a causa della palificazione in cemento, sarebbe arrivata a 50 cm. sotto il piano campagna in soli 6 mesi.
Da tutto ciò si evince che l’area interessata dal cantiere militare è un territorio di valore inestimabile per la comunità locale e che i vicentini hanno diritto a risposte immediate, chiare ed esaurienti a tutte le loro richieste. Si tratta di domande che non possono rimanere inascoltate, perché da esse dipendono il presente e il futuro di 270.00 vicentini e di altre migliaia di residenti nelle provincie di Rovigo, Padova e Venezia.
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