Dal Molin e la strategia dei media

L'ultima manifestazione del comitato Dal Molin contro l'ampliamento della base americana di Vicenza è stata presentata come una giornata di scontri e mobilitazione violenta, ma è stato veramente così? Ecco una breve analisi dei fatti accaduti e soprattutto di come questi sono stati trattati dai mass media.

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di Francesco Bevilacqua

No dal Molin
Manifestanti contro l'ampliamento della base "Dal Molin"
Il 4 luglio scorso si è svolta a Vicenza una partecipata manifestazione organizzata dal comitato “No Dal Molin”, formato dai cittadini vicentini che si oppongono alla base americana situata sul suo territorio (presso il vecchio aeroporto Dal Molin, appunto) e al suo progetto che ampliamento finalizzato a «riunificare la 173° Brigata Aerotrasportata e trasformarla nella più potente unità da combattimento schierata all’esterno dei confini nordamericani».

La lotta del comitato prende il via nel 2006 e dal gennaio 2007 si appoggia a una struttura chiamata Presidio Permanente, una sorta di tensostruttura simbolicamente situata in prossimità della base che ospita iniziative e offre appoggio logistico alle attività del comitato.

Come accennato, il 4 luglio 2009 – giorno in cui gli americani celebrano l’”Indipendence day” – il comitato No Dal Molin ha organizzato una manifestazione nazionale per ribadire la propria contrarietà al progetto di ampliamento della base, approfittando di questo momento in cui i grandi della Terra si trovano in Italia in occasione del vertice dei G8 e l’attenzione mediatica internazionale è massima.

Era chiaramente di capitale importanza la diffusione di un messaggio chiaro e deciso, che allo stesso tempo facesse capire all’opinione pubblica le ragioni della protesta e testimoniasse l’appoggio e l’approvazione della popolazione vicentina e italiana nei confronti della lotta portata avanti dal comitato.

Tuttavia, così non è stato. Il messaggio che è passato attraverso gli organi di informazione nazionali e internazionali è stato diverso e l’attenzione dell’opinione pubblica – ahinoi, per la sua maggior parte formata da osservatori poco attenti e scarsamente inclini ad analizzare criticamente le notizie e le informazioni che vengono loro proposte – è stata catturata prevalentemente da fatti che con le ragioni del comitato c’entrano relativamente. Vediamo come ciò è potuto accadere.

La base di Vicenza
Sin dai giorni precedenti la manifestazione, i principali giornali locali e nazionali paventavano il rischio di incidenti dovuti ad azioni dell’area dei no-global. Addirittura, il Giornale di Vicenza >si è spinto a ipotizzare l’impiego, da parte dei manifestanti, della refurtiva di un presunto furto composta da materiale bellico: «Nei giorni scorsi un carico di armi è stato rubato in Slovenia, al confine. Quelle bombe e quei fucili, secondo gli investigatori, sono già entrati in Italia e parte della refurtiva potrebbe essere destinata alle manifestazioni. Quali siano i motivi per i quali il ministero lo ipotizza, è impossibile saperlo. Ma, di fatto, anche per questo Vicenza domani sarà blindata, e dall'inizio della settimana le forze dell'ordine sono presenti in massa».

Si parlava diffusamente del pericolo di infiltrazioni da parte di frange violente ed estremiste e si guardava con favore alla decisione presa dal Ministero di sospendere per due settimane il Trattato di Schengen, con la conseguente chiusura delle frontiere.

Ma il nodo principale riguardava le dichiarazioni del comitato, che palesava la sua intenzione di entrare simbolicamente all’interno del cantiere della nuova base per piantarvi le bandiere “No Dal Molin”, un po’ come fece due anni fa con un filare di alberi: «Sabato proveremo a entrare all’interno dell’area che gli statunitensi vorrebbero trasformare in base di guerra per piantare migliaia di bandiere No Dal Molin; lo faremo, come sempre, con le pratiche e le forme che hanno caratterizzato la mobilitazione vicentina: trasversalità, pluralità, creatività. Ma, anche, con tanta determinazione, consapevoli che praticare quest’obiettivo rappresenta la volontà di ristabilire democrazia laddove c’è soltanto imposizione». Dall’altra parte, la risposta del prefetto Mattei e del questore Sarlo era chiara: Tutti i comportamenti illeciti dovranno essere e saranno con-trastati».

Manifestanti no dal molin
Gli abitanti di Vicenza non vogliono una base militare nel loro territorio
Già nella settimana precedente la manifestazione quindi, l’obbiettivo dei media era puntato quasi esclusivamente sul pericolo di scontri. «Base USA: Vicenza blindata per il corteo no global», «Misterioso furto d'armi, è allarme per il corteo», «Il prefetto: Schengen sospeso, ci saranno più controlli», anche se qualcuno ha anche colto il messaggio “politico” che il comitato voleva presentare: «Vicenza: presidio Dal Molin, Obama dimostri che è davvero l’uomo del cambiamento».

Per il giorno della manifestazione, i partecipanti descrivono uno scenario decisamente imprevisto – anche se, viste le premesse, ipotizzabile – che vede Vicenza letteralmente militarizzata da circa 1500 agenti della Forze dell’Ordine per un rapporto di circa 1 a 8, stando ai dati forniti dalla Questura sul numero dei manifestanti. Sempre a detta dei “No Dal Molin”, il clima è esasperato anche da una serie di controlli estremamente severi e prolungati che provocano ritardi e contrattempi e che costeranno la rinuncia a manifestare a molti che stavano confluendo in auto e in pullman verso la città veneta.

Il percorso – che avrebbe dovuto “circumnavigare” l’area dell’aeroporto sviluppandosi lungo Strada S. Antonino, Viale Dal Verme e Viale Ferrarin – viene interrotto nel mezzo, come si legge dalla cronaca redatta dal comitato: «Viale dal Verme viene chiusa. La strada, su cui dovrebbe transitare il corteo, viene interrotta da due blindati che si schierano di traverso e da decine di agenti. È ormai evidente che il corteo non può transitare in strada S. Antonino e proseguire lungo il percorso autorizzato. Sull’argine, i carabinieri del Tuscania indossano i caschi nonostante manchino due ore alla partenza del corteo».

Poliziotti base di Vicenza
I poliziotti hanno avuto un comportamento apparentemente contraddittorio nella manifestazione del 4 luglio
È in questo momento che si scaldano gli animi: fallita una prima trattativa, il contingente che sta alla testa del corteo prova a sfondare il cordone dei Carabinieri per proseguire la marcia e viene caricato. Dopo circa tre quarti d’ora, la celere si ritira e libera il posto di blocco costituito su Ponte Marchese, al vertice di nord-est del percorso e dell’area della base. Questo comportamento appare, a ben vedere, contraddittorio: se il nodo era considerato realmente pericoloso, il divieto di transito sarebbe dovuto permanere a qualsiasi costo; se invece non era ritenuto tale, è inspiegabile l’opposizione posta, che fra l’altro ha inevitabilmente scatenato gli scontri che hanno caratterizzato la manifestazione.

Dopo la fase antecedente e una breve cronaca dei fatti, vediamo ora cos’è successo al termine della giornata e successivamente.

Com’era facile preventivare, i media voraci di notizie sensazionali hanno dedicato le loro pagine quasi esclusivamente agli scontri, avvenuti peraltro in circostanze poco chiare. Ecco alcuni titoli: «Vicenza, guerriglia no-global al corteo anti G8» (qui non solo si è posto l’accento solo sulla fase violenta del corteo, ma si è anche travisato l’obbiettivo primario della protesta, costituito non dal vertice dei G8 bensì dall’ampliamento della base americana); «Scontri e lacrimogeni al corteo della base USA»; «Vicenza, corteo contro la base USA: volti coperti e lanci di lacrimogeni».

Il Giornale di Vicenza rincara la dose aggiungendo alcune considerazioni, ispirate alle dichiarazioni dello stesso questore Sarlo, che propongono una chiave di lettura quantomeno curiosa: «Il giorno dopo il questore Giovanni Sarlo, attorniato dai suoi funzionari, traccia il consuntivo di una manifestazione che ha riservato quanto tutti si immaginavano. “Anche perché - spiega pacato - se il corteo fosse stato tranquillo, come avrebbe dovuto senza le infiltrazioni esterne, non ci sarebbe stato l'evento mediatico con il ritorno a livello nazionale che invece c'è stato”. Come dire, col minimo sforzo, pochi minuti di scontri, il caso Vicenza è rimbalzato all'attenzione dell'opinione pubblica (prima notizia di Televideo e ampi servizi in tutti i telegiornali nazionali fino a ieri pomeriggio) come antipasto delle prevedibili e consuete proteste in occasione di ogni G8».

Sembra quindi che gli scontri siano stati provocati apposta dai protestanti per garantire un ampio risalto mediatico a una manifestazione che altrimenti non ne avrebbe avuto.

È tuttavia doveroso valutare attentamente anche lo scenario opposto, sostenuto dal comitato “No

Bandiera No Dal Molin
I manifestanti volevano piantare tante bandiere nell'area destinata all'ampliamento della base
Dal Molin”, cioè che gli scontri del Ponte Marchese siano stati sì provocati apposta, ma dal servizio d’ordine del Questore per sviare l’attenzione dai contenuti “politici” della protesta – l’illegittimità dei lavori di ampliamento della base americana – e dirottarli verso un tema decisamente più caro ai giornali e ai media italiani, ovvero gli incidenti, le cariche e i fantomatici “black block” che ciclicamente saltano fuori («Vicenza, tornano black block e giottini» titola Libero il giorno della manifestazione), nonostante Cinzia Bottone, portavoce del comitato, abbia fermamente circoscritto l’incidenza che gruppi esterni a “No Dal Molin” hanno avuto sull’andamento della manifestazione («Al nostro servizio d'ordine si è aggiunto un gruppo che non era dei nostri, che abbiamo saputo però neutralizzare»).

Concludendo, è interessante rilevare come la partita che si è giocata il 4 luglio a Vicenza sia stata preparata – sembra proprio più da una parte che dall’altra – ponendo in secondo piano la reale riuscita logistica e organizzativa dell’evento e pensando piuttosto al risalto mediatico che esso avrebbe avuto.

Questo atteggiamento tuttavia non è certo costruttivo, poiché si fonda sulla comprovata carenza della benché minima qualità informativa e correttezza professionale che oggi caratterizza fortemente il circuito dei media italiani, sempre pronti a “sbattere il mostro in prima pagina” e a parlare di tensioni e incidenti, ma decisamente restii a fornire contenuti, riportare opinioni e delineare le legittime posizioni di chi si batte affinché la sua sovranità popolare e nazionale non venga calpestata.

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