Non ci si esprime più (solo) votando o manifestando, e neanche comprando carote biologiche e carta riciclata. Ormai esistono gli iPod che ‘combattono’ l’Aids, le scarpe di pelle tinta con materiale organico, i preservativi ‘fair-trade’ e addirittura le armi ‘verdi’ (le cui pallottole contengono poco piombo).
Le idee politiche non vengono più espresse alle urne ma alla cassa; il che sembra avere numerosi vantaggi. Innanzitutto l’acquisto di prodotti è un’attività svolta quasi tutti i giorni da ognuno di noi. È invece solo una piccola parte della popolazione quella che va a votare. Le compere vanno fatte in ogni caso, mentre leggere regolarmente il giornale e andare a votare richiede un ulteriore sforzo.
Il consumo critico ha però ricevuto a sua volta delle critiche. Già un termine come ‘radical chic’, con cui viene spesso indicata, mostra che questa forma di impegno viene percepita come una moda. I critici più feroci sostengono che il ripiegamento nella vita privata del nostro millennio causi dei sensi di colpa i quali possono venir facilmente rimossi attraverso lo shopping solidale.
Un terzo gruppo di critici ribadisce che la filosofia del consumo critico contraddice una fondamentale legge del mercato: portare il maggior numero di prodotti al maggior numero di persone al minimo prezzo possibile.
Certo noi vogliamo pagare poco, ma anche a prezzo della qualità? E ci sarebbe anche un’altra domanda che non riguarda direttamente il nostro interesse personale: in che tasche vanno i nostri soldi e quali mani hanno lavorato i nostri prodotti?
Guida al Consumo Critico
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