Una lettura leggera, un po’ frivola, in cui di sicuro l’ultima cosa che uno si immagina di trovare è un articolo sulla sostenibilità e sul consumo consapevole. Invece è proprio quello che mi è accaduto qualche giorno fa, quando incuriosito, in attesa al bar, mi sono messo a sfogliare la rivista.
In particolare ha attirato la mia attenzione un articolo intitolato È l’ora dello scambio, a firma di Fabiana Salsi. L’abstract recitava: «L’ultima (contro) tendenza della società del profitto? Lo swap, ovvero il baratto. Un vestito per un accessorio, una lezione d’inglese per un’ora di babysitter o una casa in periferia in cambio di un attico a Manhattan, perché no?». Già da queste prime parole mi è sembrato di intravedere fra le righe dei discorsi conosciuti, anche se apparentemente fuori contesto fra quella pagine.
Un altro tipo di scambio di cui si parla nell’articolo è quello di case: invece di andare in albergo o in qualche villaggio turistico, persone di città diverse o addirittura di altre nazioni si scambiano la casa per le vacanze, con la possibilità di utilizzare anche quello che si trova dentro, «dalla canna da pesca alla racchetta da tennis». Viene poi messo in evidenza come questo scambio non si basi tanto su contratti e comodati quanto piuttosto su «un rapporto di solidarietà e fiducia reciproca».
La familiarità con questi argomenti mi è stata poi confermata quando, alla fine della breve lettura, mi sono imbattuto in un box intitolato «Così funziona sotto le due torri», in cui erano citate esperienze e iniziative ispirate a questa filosofia, dalle Banche del Tempo al Last Minute Market di Andrea Segrè, passando per le Transition Towns di Monteveglio e Granarolo (entrambi comuni in provincia di Bologna).
Non lo nascondo: è stata una piacevolissima sorpresa trovare in una sede così insospettabile ampi ed espliciti riferimenti a una filosofia generale e iniziative particolari appartenenti a un mondo ben lontano da quello dello shopping e delle serate alla moda. Proprio per questa ragione, dopo questo inaspettato incontro, penso sia lecito soffermarsi su qualche riflessione foriera, a parer mio, di un velato ottimismo.
Sono sicuro che chi da anni si batte non tanto perché pratiche di questo genere diventino parte integrante della prassi sociale ma anche solo perché se ne parli, perché la gente le conosca e le possa confrontare col modello consumista, sarà sicuramente contento che esse abbiano fatto breccia anche in ambienti un tempo lontani anni luce da questo tipo di consapevolezza. Ciò che conta è in fondo la filosofia, la cognizione del fatto che quello che non è più utile a noi può servire a qualcun altro o che anche il tempo, la conoscenza e l’abilità manuale sono valori importanti nella vita.
Non credo che sia l’inizio di una rivoluzione, né mi aspetto che fra pochi mesi boutique d’alta moda, outlet e megastore chiudano i battenti per lasciare il posto a botteghe e negozi di artigianato locale. Questo però potrebbe essere il primo, piccolo passo di un lungo cammino che se affrontato con calma, senza rigidità ideologiche e con la voglia di aprire gli occhi e diffondere consapevolezza potrà portare molto lontano.
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