Le centrali geotermoelettriche sfruttano il calore di fluidi vettori (acqua o vapore) intrappolato nel sottosuolo in dei bacini naturali, dai quali essi fluiscono in superficie spontaneamente (nella forma di geyser o soffioni) o artificialmente, in seguito alla perforazione meccanica.
Una volta ceduta la propria energia termica alle turbine, i vapori esausti vengono rilasciati nell’atmosfera. Essi contengono una miscela di elementi, quali mercurio, radon, arsenico, boro, antimonio e idrogeno solforato, spesso in quantità significative, che vanno a modificare la naturale composizione dell’aria: in pratica la inquinano. Ovviamente ciò rappresenta un fattore di rischio per la salute umana, oltreché per la sopravvivenza della fauna e della flora circostante le centrali.
Le emissioni di sostanze nocive è inoltre associata anche alla liberazione di anidride carbonica, la quale come ben noto contribuisce alla formazione di effetto serra e quindi alla determinazione di cambiamenti climatici.
A ciò si aggiunge il fatto che un’intensa estrazione (nel caso in cui la fuoriuscita dei vapori non sia spontanea) può provocare una modifica dell’assetto geologico dell’area interessata. Un monitoraggio costante e studi dettagliati dovrebbero pertanto essere condotti in ogni singolo caso, per garantire che l’attività non abbia ricadute significative sull’ambiente circostante.
Tutto ciò rende l’attività geotermica industriale poco ecologica, quale invece ambirebbe ad essere.
Particolarmente delicata in Italia è la situazione del bacino del Monte Amiata, collocato nell’area meridionale della Toscana, tra le provincie di Grosseto, Siena e Pisa. Ben il 27% dell’energia elettrica utilizzata nella regione deriva da geotermia, la quale rappresenta l’87,5% dell’energia da fonti rinnovabili.
Vari studi sono stati condotti, eppure al giorno d’oggi nessuno di essi appare “definitivo”, poiché hanno riportato risultati in buona parte differenti. Naturalmente ciò ha fatto pensare che alcune conclusioni presentate siano state influenzate da interessi economici e politici. Associazioni di abitanti e ambientalisti stanno portando avanti una “battaglia” affinché si faccia chiarezza e si applichi, nel frattempo, il principio di precauzione.
Alcuni studi sull’assetto geologico e idrico dell’area sono stati condotti già negli anni 70 e 80 ed essi rappresentano il punto di partenza e di riferimento per le analisi condotte negli ultimi anni prima dall’ARPAT e poi dall’EDRA.
Nella relazione presentata nel 2008 da quest’ultima, in particolare, vengono messi in evidenza tre punti chiave della questione.
- L’impatto sulla qualità dell’aria e sul suolo derivanti dalle emissioni delle centrali geotermiche amiatine non è trascurabile: in particolare si rileva una concentrazione eccessiva di alcuni elementi, come mercurio, acido solfidrico e boro.
- Il costante e ingente sfruttamento dei serbatoi geotermici ha provocato un significativo abbassamento della falda acquifera del Vulcano Amiata. Si riscontrano, infatti, dei collegamenti tra la falda e i bacini e l’attività estrattiva modifica l’assetto geologico provocando un drenaggio della falda verso il sistema geotermico sottostante. Tale abbassamento, oltre a portare conseguenze negative diretti all’approvvigionamento di acqua da parte delle popolazioni locali e della natura stessa, potrebbe anche indurre la riattivazione o l’insorgere di eruzioni idrotermali (fenomeni che in passato in vari campi geotermici del mondo hanno determinato disastri naturali e provocato numerose vittime).
- Le falde acquifere possono essere inquinate a causa della risalita e condensazione dei fluidi geotermici; in particolare negli anni tra il 1999 e il 2002 si è registrato un vertiginoso aumento della presenza di arsenico nell’acqua.
In seguito a questi rilevamenti, i ricercatori dell’EDRA consigliano una riduzione dello sfruttamento dei bacini geotermici dell’Amiata, la chiusura di alcune centrali obsolete e l’ammodernamento tecnologico di altre, al fine di minimizzare le emissioni di sostanze inquinanti e di anidride carbonica.
In seguito all’analisi delle acque di falda e fluviali, dei fluidi geotermici, del suolo e della qualità dell’aria, gli esperti senesi hanno infatti decretato che il livello di inquinamento dell’area, provocato dalle centrali geotermoeletriche, non è tale da rendere necessaria la limitazione dell’attività estrattiva. Si consiglia soltanto lo smantellamento delle strutture in disuso e un ammodernamento dei filtri impiegati per i vapori esausti immessi nell’aria.
Inoltre lo studio smentisce che ci sia una correlazione confermata tra il calo delle sorgenti e l’aumento del vapore estratto, nonché la loro contaminazione con boro e arsenico.
Infine, i ricercatori senesi dichiarano assente qualsiasi pericolo di collasso gravitativo del monte, che porterebbe il campo geotermico a contatto con il bacino acquifero superficiale, determinando un aumento della concentrazione di sostanze inquinanti nell’acqua.
Dopo dibattiti e scontri, alla fine dello scorso anno si è dovuto concludere che gli studi di cui si dispone non offrono certezze sufficienti a prendere decisioni definitive in materia, pertanto occorre approfondire le ricerche. Questa volta ad aver ricevuto l’incarico è stata l’Università di Firenze e ci si aspetta un lavoro approfondito, da svolgersi in non meno di due anni.
Nel frattempo però non solo l’attività estrattiva sul vulcano Amiata non registra riduzioni, come suggerirebbe il principio di precauzione (in attesa di dati attendibili), ma addirittura si va incontro alla costruzione di nuove centrali.
Questo provoca - come naturale - nervosismo tra la popolazione che abita nella regione toscana interessata e alcuni comitati locali stanno portando avanti attivamente una campagna informativa, nonché una battaglia contro l’impiego massiccio dei bacini geotermici al fine di produrre energia elettrica.
In realtà la tecnologia per risolvere buona parte dei problemi esiste già: si tratta dei sistemi a circuito chiuso. In pratica i vapori estratti, una volta impiegati, non devono essere liberati nell’atmosfera, bensì reimmessi nel bacino, tramite un circuito di ritorno.
Ovviamente l’implementazione di tecnologie moderne di tal tipo comporterebbe una trasformazione radicale di tutte le centrali attualmente in esercizio, vale a dire che richiederebbe un investimento economico significativo.
Quello che accade, dunque, è che per non affrontare spese ingenti si continua a temporeggiare, commissionando studi ulteriori e applicando al limite filtri più selettivi, che se riducono l’apporto di inquinanti nell’atmosfera, di sicuro non risolvono del tutto il problema.
Una scelta simile è chiaramente inopportuna di fronte a rischi ingenti per la salute umana e la tutela dell’ecosistema (e della stessa fonte geotermica). Ma anche mantenendosi su un puro piano economico, se mettiamo insieme i costi per la conduzione delle ulteriori ricerche, quelli per l’installazione di filtri migliori, la prevenzione e la cura delle malattie provocate dalle attuali emissioni, i costi ambientali, il possibile esaurimento della risorsa nonché la maggiore efficienza raggiungibile con centrali costruite secondo le nuove tecnologie, siamo poi sicuri che ci sia una convenienza a mantenere la situazione attuale?
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