Se un’osservazione del genere appare strana e poco realistica nell’esempio del nostro quotidiano piatto di pasta, essa è invece molto pertinente nel caso dell’energia che ogni giorno utilizziamo per illuminare le nostre abitazioni e condizionarne la temperatura interna.
Le grosse centrali che generano energia elettrica, infatti, sono in grado di restituirci solo il 50-60% dell’energia immagazzinata in potenza nella fonte di cui si approvvigionano. In pratica a ogni pasto “mangiano” 200g di pasta e ne servono a noi solo una metà. Perché?
In generale esse sono costituite da un motore primario che acquisisce la materia prima, la fonte impiegata, e la utilizza per produrre una qualche azione meccanica (ossia la trasforma per l’appunto in energia meccanica). A seguire un generatore usa tale azione per dare origine a fenomeni elettrici, vale a dire trasforma l’energia meccanica in energia elettrica, impiegabile per usi industriali o domestici.
Eppure anche il calore è qualcosa che ci serve; lo “produciamo” per scaldare gli edifici in cui viviamo o l’acqua che usiamo nei nostri bagni. E per produrlo non facciamo altro che impiegare ancora una volta dei combustibili da bruciare.
Perché fare due volte lo stesso lavoro se con il primo processo otteniamo già ciò che desideriamo, ossia energia elettrica ed energia termica?
Questo è il principio che risiede alla base della concezione degli impianti di “cogenerazione”. Tale termine indica infatti la generazione combinata e contemporanea di energia elettrica (o semplicemente meccanica) ed energia termica (ossia calore), partendo da una stessa fonte e attraverso un unico processo.
Gli impianti di cogenerazione ci consentono di utilizzare in maniera molto più efficiente le risorse, riducendo significativamente gli sprechi: le conseguenze sono ovviamente risparmio in termini ambientali nonché economico. Essi garantiscono infatti un rendimento del 70-85%, quindi almeno il 30% in più rispetto ai due sistemi separati (per la generazione di energia elettrica e di calore). In tal modo si affrontano costi minori, si consumano meno risorse primarie e si riducono le emissioni di gas serra.
Un tipico impianto cogenerativo è realizzato a partire da un sistema a turbogas o a motore alternativo, attraverso il quale si genera l’energia elettrica, ed una caldaia a recupero. I fumi provenienti dall’impianto principale (di cui costituiscono lo scarto) sono convogliati in un sistema secondario, nel quale entrano in contatto con acqua o altri fluidi, così da produrre acqua calda, vapore saturo o vapore surriscaldato.
Come si misura effettivamente l’efficienza di un impianto che genera energia?
In accordo con l’EPA (Environmental Protection Agency), definiamo efficienza semplice di un singolo impianto il rapporto tra la quantità netta di energia in uscita dal sistema e la quantità di combustibile posta in ingresso (cioè da esso consumato).
Le centrali elettriche e quelle termiche avranno ciascuna il proprio valore di efficienza, misurato sulla base della fonte primaria che ciascuna utilizza individualmente. Negli impianti di cogenerazione abbiamo una stessa quantità di combustibile in entrata, ma due diversi tipi di energia in uscita. L’efficienza complessiva del sistema sarà data dal rapporto tra la somma di energia elettrica e calore prodotti e il quantitativo di combustibile consumato.
Se andiamo a guardare i grafici di rendimento nei due casi, ci accorgiamo che per i sistemi distinti le perdite sono ingenti (soprattutto nel processo di produzione di energia elettrica), negli impianti cogenerativi, invece, si massimizza l’efficienza, ottenendo la medesima quantità di energia elettrica ed energia termica con un “resto” minimo di spreco.
Ovviamente gli impianti combinati sono più complessi rispetto a quelli individuali convenzionali, pertanto sono anche più costosi. Ma, secondo quanto rilevato sui sistemi attualmente in funzione, se l’impianto è correttamente dimensionato si raggiungono risparmi del 25-40% sui consumi cosicché nell’arco di 36-50 mesi si rientra dell’investimento iniziale.
La convenienza della cogenerazione, sotto il profilo economico quanto quello ambientale, è di fatto già riconosciuta e incentivata nell’ambito della Comunità Europea, ma anche all’interno del quadro legislativo del nostro Paese.
La promozione della cogenerazione ad alto rendimento è stata lanciata a livello europeo con la direttiva 2004/8/CE. Essa è stata poi ripresa dal governo italiano nel febbraio 2007, tramite un decreto attuativo varato dal Consiglio dei Ministri. Quest’ultimo di fatto conferma quanto in realtà era già stato previsto da un decreto Bersani n.79 del 1999.
Sulla base di quest’ultimo decreto, l’energia elettrica prodotta tramite cogenerazione ha priorità di dispacciamento (ossia immissione nella rete) rispetto a quella generata da un impianto disgiunto (cioè tradizionale) ad impiego di combustibile fossile, mentre ovviamente quella da fonti rinnovabili resta comunque prioritaria. Inoltre, le imprese che gestiscono le centrali a cogenerazione sono esenti dall’obbligo di introdurre in rete una certa percentuale di energia da fonte rinnovabile o di acquistare i certificati verdi sul mercato, come invece accade per i produttori e importatori di energia elettrica da combustibile fossile. A questo si aggiunge una riorganizzazione dei criteri per l’assegnazione dei certificati bianchi, in modo da rendere la soluzione cogenerativa appetibile per gli investitori.
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