Nei secoli seguenti ci siamo spartiti tutto: prima è stata la volta dei mari, oggi di proprietà di questa o quella nazione, poi è stata la volta dei cieli e dell’aria, divisa in corridoi aerei. Ora, tocca ai beni comuni.
È il caso dell’acqua, è il caso dell’Italia. Come denuncia in questi giorni padre Alex Zanottelli, infatti, il governo italiano ha approvato il 9 settembre un articolo inserito nel decreto per l’adempimento degli obblighi comunitari che porterà necessariamente alla privatizzazione dell’acqua.
L’Italia non è il primo e non sarà probabilmente neanche l’ultimo tentativo da parte di enti privati, dietro ai quali solitamente si nascondono grandi multinazionali, di conquista della proprietà di beni comuni ed indispensabili come l’acqua.
Questo, tra l’altro, avviene in un periodo in cui si comincia a prendere coscienza della scarsità di questa risorsa fondamentale e quindi, in termini di mercato, di aumento del suo valore economico, se di soldi si può parlare quando si parla, come dice Padre Zanottelli, della vita stessa.
Privatizzare, come ormai sempre più spesso e sempre troppo tardi si sta capendo (vedi Telecom o le FS), non vuol dire dare qualcosa in mano ad una brava persona. Al contrario, privatizzare è mettere qualcosa (e nel caso dell’acqua parliamo di qualcosa di vitale) in mano a qualcuno il cui unico scopo è il profitto costi quel che costi.
Cochabamba è la terza città per dimensioni della Bolivia e nel 1999 il governo Boliviano chiede alla Banca Mondiale un prestito per la ristrutturazione dei servizi idrici della città. La Banca Mondiale acconsente, a patto che la gestione del sistema idrico venga privatizzato. Così avviene e un consorzio che fa capo alla Bechtel di San Francisco e all’italiana Edison assume, per 30 anni, il controllo di tutta l’acqua di Cochabamba.
Nel giro di pochi mesi il prezzo dell’acqua aumenta del 300%, mentre la condizioni delle reti idriche non subiscono alcun lavoro di mantenimento o miglioramento. La percentuale della popolazione che non ha accesso a questo bene fondamentale sale, rapidamente, fino al 55%.
Non è tutto, la legge firmata dal governo boliviano promette ancora di più ai beneficiari stranieri: l’acqua piovana non può essere raccolta se non con una licenza, ovviamente a pagamento, del consorzio Bechtel-Edison e le bollette non pagate danno loro il diritto di confiscare le case dei debitori e metterle all’asta.
Famiglie che vivono con meno di 2$ al giorno non possono certo spendere un quarto del loro reddito per l’acqua, ed è così che nella primavera del 2000, i cittadini di Cochabamba scendono in piazza. Lo scontro è forte e prosegue per giorni, il governo manda polizia ed esercito a fermare i “rivoltosi”, ma le manifestazioni continuano e il 10 aprile 2000 il governo è costretto a ritirare la legge che aveva dato il via alla privatizzazione. Il popolo unito vince. L’acqua di Cochabamba oggi è pubblica e la costituzione boliviana possiede ora anche un articolo che impedisce la privatizzazione dell’acqua.
Tutto ciò negli anni scorsi è avvenuto, come sappiamo bene, anche in Italia. Il motivo per cui è successo, oltre che per il profitto di pochi, è dovuto alla logica – oggi riproposta brutalmente dal Ministro Brunetta - secondo la quale il pubblico è inefficiente e il privato, al contrario, efficiente. Ciò è in parte vero, ma non sempre, e comunque non ci si sofferma mai abbastanza a valutare i vantaggi che un’azienda pubblica possiede e che dovrebbero spingere ad evitare pericolose privatizzazioni, soprattutto quando si parla di risorse preziose come l’acqua.
Uno di questi vantaggi è la possibilità di un’azienda pubblica di lavorare in perdita per i vantaggi che ne possono venire alla collettività. Un’azienda pubblica, ad esempio, può decidere di tenere basso il costo dell’acqua per renderla accessibile a tutti, perché l’acqua non è un semplice servizio ma ha un valore intrinseco che non può piegarsi alle regole del mercato.
Una società e uno stato che si piegassero a sminuire in tal senso il valore dell’acqua, rischierebbero di vedere una nuova Cochabamba con risultati non del tutto prevedibili.
L’Italia sotto molti aspetti non è certo la Bolivia, o almeno…non ancora…
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non e'possibile. bisogna reagire adesso, subito, prima che sia troppo tardi!!!!! ma cosa stiamo aspettando, forse i primi morti???