Ultimamente le donne sono bersagliate da una accanita politica culturale di medicalizzazione di quella parte importante della loro vita che è la gravidanza e il parto.
Qualche dato: il Servizio sanitario nazionale (Ssn) consiglia durante la gravidanza di effettuare tre ecografie. Invece solo nel 21,1% dei casi si resta entro questo limite. Il 73% delle donne gravide, infatti, lo supera (dati 2002)[1].
Per l’amniocentesi idem: se in Toscana ad esempio si parla di un 31,2% di donne gravide che vi ricorrono e in Valle d’Aosta la percentuale al 47,5%, mentre nelle regioni meridionali e nelle Marche invece non si supera mai il 10%[2].
Il ricorso eccessivo al cesareo è un’altra nota dolente di cui tutti ormai sono a conoscenza. Nel nostro paese si parla di un 34% di parti cesarei sul totale delle nascite (al secondo posto nel mondo)[3]. La stessa Organizzazione mondiale della sanità stima che il 10%, sia attualmente ancora la cifra ottimale per questo tipo di intervento, percentuale quindi che nei nostri ospedali viene superata abbondantemente.
Eppure ci sono sempre più donne che, in contrapposizione a questa tendenza, si orientano verso pratiche di nascita naturale, scelgono cliniche e ospedali dove c’è una maggiore attenzione e sensibilità per il parto fisiologico, oppure decidono di partorire in casa propria.
Su questo tipo di esperienza abbiamo voluto raccogliere la testimonianza di Monica Pavan, una donna che ha partorito in casa tre dei suoi quattro figli (il primo, infatti, nacque prima del termine previsto e colse alla sprovvista i suoi genitori ancora inesperti).
Partorire in casa è una scelta decisamente in controtendenza di questi tempi, tempi in cui l’ipermedicalizzazione della gravidanza e del parto viene data per scontata. Tu come ci sei arrivata?
Io sono arrivata al parto in casa attraverso un cammino personale che parte da molto lontano. Certo non è una decisione che si prende con leggerezza. Per me è stata la tappa, in un certo senso obbligata, di un percorso che è iniziato con la scelta, molti anni fa, di lasciare la città per vivere in campagna, seguita poi dalla decisione di abbracciare un’alimentazione vegetariana e una vita sempre più a contatto con la natura e i suoi ritmi, per cercare di vivere in modo più armonico e in pace con gli altri e con me stessa.
Se dovessi descrivere più da vicino le tue motivazioni per questa scelta, su quali elementi ti soffermeresti?
Innanzitutto credo che sia molto bello vivere questo evento tutto al femminile, instaurando un rapporto profondo e amichevole con l’ostetrica che ti aiuta a partorire.
Questo tipo di rapporto, che inizia già durante la gravidanza, non ha niente a che vedere con la relazione fredda o tiepida che una donna può avere con il ginecologo di turno dell’ospedale. Io ho sentito la necessità di riappropriarmi di quello che nella storia è stato sempre un evento di donne avvenuto al di fuori delle istituzioni sanitarie, caratterizzate da un forte maschilismo e dalla gerarchizzazione.
A suo tempo ho studiato un anno da infermiera professionale in un ospedale e credo di essermi fatta un’idea abbastanza corretta dei meccanismi di potere all’interno dei nosocomi.
In secondo luogo è importante per me il contatto immediato e continuo col proprio bimbo, appena viene alla luce. Quando un bimbo nasce in casa non ci sono separazioni tra madre e figlio, tranne un piccolo bagnetto eseguito comunque vicino al letto e con la collaborazione del padre e dei fratellini, se ci sono.
Il terzo motivo riguarda il particolare aspetto psicologico che riveste il partorire nella propria casa. Questo è, a mio parere, molto importante. La partoriente in questo caso non vive il parto come una malattia, ma come un evento di festa. Tra le pareti di casa propria, in piena libertà, con la musica che più le piace, assumendo la posizione che meglio le si addice per quel momento (che può essere diversa per ogni donna o addirittura per ogni parto della stessa donna) e attorniata dai propri cari: la nascita per la donna riacquista tutto il suo fascino e la sua pregnanza di significati simbolici e trascendentali.
Nelle strutture ospedaliere si devono fare i conti con ostetriche stanche e demotivate, in balia di ginecologi agguerriti, che ti impongono di partorire incatenata in una posizione che si oppone anche all’elementare legge della gravità.
Per prima cosa bisogna dire che nei paesi del Nord Europa la pratica del parto in casa è molto più diffusa e che, per quello che so, non per questo ci sono particolari statistiche di eventi dannosi o mortalità più elevate[4].
La mentalità e il contesto sociale sono dunque importanti per coadiuvare tale scelta.
Poi, come dicevo prima, bisogna sottolineare che il parto in casa è un rapporto innnanzitutto di fiducia con la propria ostetrica, che deve essere una persona pienamente capace di svolgere la sua professione. Quindi nei nove mesi che precedono il parto, avendo con lei un rapporto continuativo mensile (visite, controlli, battito del bambino, crescita, peso, verifica esami clinici se si vuole farli, posizione ecc.) l’ostetrica stessa sarà sicuramente in grado di valutare se il parto potrà essere in buona percentuale fisiologico e senza complicazioni.
Nelle strutture ospedaliere si devono fare i conti con ostetriche stanche e demotivate, in balia di ginecologi agguerriti, che ti impongono di partorire incatenata in una posizione che si oppone anche all’elementare legge della gravità
Va anche detto che una donna che decide di riappropriarsi del proprio corpo in prima persona vivrà i nove mesi con una maggiore consapevolezza. Essa sentirà la trasformazione continua del suo fisico e il nascente rapporto col proprio bimbo che cresce con un senso di maggiore responsabilità e attenzione per ogni segnale biologico che dovesse arrivarle.
Quando una donna partorisce in ospedale, invece, si mette sin dall’inizio nelle mani del ginecologo, demandando ad altri la gestione del proprio corpo e della propria salute. Se una donna, al contrario, prende di nuovo possesso di sé, sente se va tutto bene, se il bambino si muove in modo vitale, se ci sono problemi o se c’è invece qualcosa che non va. È mai possibile che sia il medico a dover dire a una donna se sta bene o se sta male? Ogni donna è in grado di sentire come sta andando la gravidanza.
Naturalmente durante la gestazione occorre seguire un regime alimentare e uno stile di vita appropriati, adottare un ritmo quotidiano più lento e vivere psicologicamente equilibrati e, se possibile, in una condizione affettiva ottimale. Buona musica, buon cibo, buoni libri e pratiche di rilassamento sono degli ottimi supporti affinché tutto vada per il meglio.
Penso che per i miei familiari l’atto della nascita sia stato, come per me, l’apice di una trepida attesa e un momento di grande gioia. A differenza della donna che va in ospedale e che è solo lei la “partoriente”, nel parto in casa questo momento e questo sforzo sono condivisi da tutta la famiglia. Non si vivono sentimenti di separazione o di estraniazione, e persino l’ostetrica entra a far parte del gruppo che “partorisce”.
In particolare, i bimbi piccoli già presenti sono i soggetti più coinvolti emotivamente. La gioia che portano e riversano nell’evento è veramente contagiosa.
Mi pare di poter dire, per quello che è la mia esperienza, che i bambini, partecipando a questo momento così delicato e intimo, non vivono poi la gelosia nei confronti del nuovo nato. Invece il bimbo che rimane a casa solo col padre, di fronte al letto vuoto della madre che è in ospedale con il fratellino o la sorellina appena nati, vive un sentimento di separazione. Nel parto in casa al contrario non ci sono momenti di tristezza o divisione per nessuno dei partecipanti.
Va inoltre ricordato che la donna, nel momento in cui partorisce, deve trovare dentro di sé una grande forza per – letteralmente – spingere questo nuovo bimbo nel mondo, anche se nell’atto prova dolore fisico. In questo frangente è molto importante avere vicino il proprio compagno che emotivamente condivide la sofferenza ed è di grande aiuto psicologico.
Potresti dipingere un momento di un tuo parto in casa che possa rendere l’atmosfera e il senso profondo di questo evento.
Una donna che decide di riappropriarsi del proprio corpo in prima persona, vivrà i nove mesi con una maggiore consapevolezza. Essa sentirà la trasformazione continua del suo fisico e il nascente rapporto col proprio bimbo che cresce con un senso di maggiore responsabilità e attenzione per ogni segnale biologico che dovesse arrivarle
Una delle sensazioni più magiche è quella che si prova nel momento in cui il bambino esce dal ventre. Dopo nove mesi di condivisione e di unione, finalmente lo puoi abbracciare teneramente, guardarlo dritto negli occhi e sentirti quasi a disagio per la profondità e la consapevolezza del suo sguardo. In quell’attimo, e magari solo per pochi lunghissimi secondi, ti sembra quasi che egli sia cosciente di una grande verità. Consapevolezza e profondità che subito dopo e nei giorni successivi, si disperdono nella sua nuova vita di neonato. Un altro momento meraviglioso è, secondo me, quello in cui, ancora con il cordone ombelicale attaccato, puoi abbracciare teneramente il bimbo, avvolto da una tela che tu stessa hai scelto per quel momento. Appoggiandolo sul tuo seno in quegli attimi puoi rivivere quel senso di identificazione che sino ad allora aveva contrassegnato il tuo rapporto con lui. La sensazione di divisione provata nel momento della nascita ad un tratto scompare e la percezione del calore corporeo del bimbo sul tuo corpo ripristina l’unione su di un altro livello, non più solamente fisico.
Una donna che decide di riappropriarsi del proprio corpo in prima persona, vivrà i nove mesi con una maggiore consapevolezza
Il mio consiglio – ovviamente è solo il mio punto di vista personale – è di abbandonare subito il timore del parto e di non vederlo più solo come un momento di dolore, ma come la grande responsabilità e gioia di dare alla luce un nuovo essere umano. Direi di lasciarsi andare alle sensazioni che il proprio corpo e la propria psiche sprigionano nei nove mesi di gravidanza (mutazioni di sentimenti, fisiologia, emozioni ecc.). In fondo è tutto molto semplice e avviene in modo molto naturale. Fa tutto madre natura.
Le associazioni per il parto in casa
Le associazioni e i gruppi di ostetriche che si occupano di parto naturale e parto in casa sono molte, in tutta Italia. Ne segnaliamo alcune tra le più importanti.
- La Lunanuova, Via Settembrini, 3 - 20124 Milano, tel. 02 66984453, fax 02 66984451, e-mail: info@lalunanuova.it; sito internet: http://www.lalunanuova.it.
- MIPA (Movimento Internazionale Parto Attivo) Centro Studi, Via Castello, 107 - 25080 Serle (BS), tel. 030/6896597, fax 030/6896597, e-mail: info@mipaonline.com; sito internet: http://www.mipaonline.com.
- Scuola elementale di arte ostetrica, Via Piercapponi, 17 - Firenze, tel. 055/576043, fax 055/576266, e-mail: info@marsupioscuola.it; sito internet: http://www.marsupioscuola.it.
Note
[1] Bartoloni, Marzio e Del Bufalo, Paolo, “Gravidanze con troppi cesarei e tante analisi”, Il Sole 24 Ore Sanità, anno VII, n. 21, 1-7 giugno 2004, pp. 8-9.
[2] Loc. cit.
[3] Cucurachi, Maria Grazia, “Uk: il «Nice» contro il parto cesareo”, in Il Sole 24 Ore Sanità, anno VII, n. 19, 18-24 maggio 2004, p. 31.
[4] È stato dimostrato già da tempo che il parto in casa è sicuro come quello in ospedale, e questo è stato verificato attraverso una ricerca su 24.000 donne (Olsen, O., “Meta-analysis of the safety of home birth”, pubblicato in Birth, 24 marzo 1977.
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