Si tratta del risultato di uno studio presentato di recente sulla rivista americana Science. A condurlo è stato un gruppo di geografi e climatologi guidati da Kaicun Wang, professore presso l’Università del Maryland (USA).
I ricercatori hanno attinto ai dati provenienti da 3250 stazioni meteorologiche, distribuite su tutto il pianeta e in orbita attorno ad esso, e raccolti dal National Climatic Data Center (NCDC). Le misurazioni sono relative tanto alla trasparenza del cielo quanto alla concentrazione e natura dell’aerosol presente nell’atmosfera.
Un aerosol è un colloide in cui micro-particelle di un liquido o di un solido sono disperse in un gas. Esistono numerosi tipi di aerosol. Alcuni sono del tutto naturali, come quello marino, nebbia che si forma spesso su mari e oceani, o quello desertico, in cui le sabbie si muovono attraverso i paesi restando sospese nell’aria. Altri hanno invece origine “artificiale” e possono essere causati dall’inquinamento atmosferico (particolato antropico presente soprattutto nelle zone urbane e industrializzate) come anche dalla combustione di biomasse.
Gli aerosol sono fortemente coinvolti nei processi di scattering (diffusione) della radiazione solare, la quale passando attraverso l’atmosfera può essere assorbita, riflessa o trasmessa (ossia lasciata passare). I gas serra, come noto, tendono a trattenere la radiazione, determinando un riscaldamento del pianeta. I raggi che colpiscono i particolati presenti nell’aria, invece, vengono deviati in direzione differente da quella di incidenza. Si ha quindi una diffusione che determina una redistribuzione dell’energia radiativa di natura solare.
Il fenomeno della riduzione della visibilità era in realtà già noto, come del resto il fatto che gli aerosol influissero sul clima, ma non si disponeva di una tale quantità e completezza di dati, quali quelli a cui il gruppo di Kaicun Wang ha attinto, né si era ancora realizzata un’accurata analisi basata sul confronto degli andamenti reali con i modelli simulati.
“La creazione di questo grande database” afferma Wang riferendosi a quello del NDCD, “è un importante passo avanti in direzione della ricerca sui cambiamenti di lungo termine nell’inquinamento dell’aria e della messa in correlazione di questi ultimi con l’evoluzione del clima mondiale.” I dati in questione coprono una fascia temporale piuttosto ampia, che va dal 1973 al 2007.
Il fatto che gli aerosol filtrino la radiazione solare, impedendogli in parte il raggiungimento della crosta terrestre, ha fatto pensare alla possibilità di realizzare per la Terra uno schermo solare fatto di particolato. Alcuni ricercatori dell’ente americano NOAA, Amministrazione Nazionale Oceanica e Atmosferica, mettono in guardia sui possibili effetti collaterali di tale schermo, ossia ad esempio – a parte l’offuscamento del cielo - il fatto che molte centrali e sistemi elettrici che producono energia dal sole ridurrebbero di molto la loro efficienza, in quanto riceverebbero molta meno radiazione diretta (essendo essa diffusa prima di attraversare l’atmosfera).
Anche in Italia si conducono ricerche in questo campo, incentrate soprattutto sull’analisi della situazione nel bacino del Mediterraneo, che per la sua struttura è palcoscenico di vari effetti incrociati, i quali richiedono una modellazione opportuna.
In attesa degli sviluppi della ricerca, possiamo goderci un cielo blu dipinto di blu più di quanto non fosse 30 anni fa e considerarlo una testimonianza dell’efficienza delle politiche anti-inquinamento attuate. Ovviamente sarebbe però stupido sedersi sugli allori, in quanto gli obiettivi di riduzione dell’impronta ecologica sul pianeta sono ancora ben lontani.
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