La terra nera degli Indios cattura la Co2

Il biochar, ovvero la Terra Nera che da millenni viene utilizzate come fertilizzante dagli indios, potrebbe salvarci dal riscaldamento globale. La si ottiene carbonizzando residui organici: metà delle emissioni di carbonio di questi residui viene catturato e sottratto all’atmosfera. Alcuni paesi in via di sviluppo sperano che il biochar venga già preso in considerazione nell’incontro di dicembre per il protocollo “post-Kyoto”.

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di Elisabeth Zoja

Biochar, la terra nera degli indios
Gusci di noce, paglia, pula di riso e stocchi di mais hanno in comune una semplice caratteristica: sono inutilizzabili. Eppure, se venissero trasformati in biochar, questi resti inutili potrebbero salvare il pianeta.

Secondo il teorico dell’Ipotesi Gaia James Lovelock, infatti, questo materiale simile, alla carbonella del barbecue, è la sola speranza contro le catastrofi causate dal cambiamento climatico. Ma andiamo con ordine.

La carbonizzazione dei residui organici in biochar viene attualmente testata in centri di ricerca scientifica in Australia, Stati Uniti, Germania e Italia. Questa tecnica, però, ha origini antiche. Si basa su una tecnica agricola che viene praticata da migliaia di anni nelle terre brasiliane.

Non è un caso, quindi, se alcuni terreni dell’Amazzonia si sono rivelati fino a 70 volte più ricchi di biochar dei terreni circostanti. Questo materiale carbonioso è stato prodotto dalla combustione incompleta di parti vegetali “introdotte volontariamente nel terreno dalle popolazioni locali”, spiega il dottor Franco Miglietta, dell’Istituto di biometeorologia di Firenze.

Biochar fatto in casa
Biochar fatto in casa
Quel che oggi chiamiamo biochar quindi è la terra preta de los indios: la Terra Nera che gli indios utilizzavano come fertilizzante. La loro tecnica agricola è divenuta attuale da quando si è scoperto che il biochar trattiene la CO2 dei residui organici carbonizzati. Miglietta spiega il principio con semplicità: ”È noto che le piante assorbono CO2 dall'atmosfera, per poi rilasciarla quando terminano il loro ciclo di vita. Invece, interrandole, la CO2 viene trattenuta nel terreno per migliaia di anni.

>Ottenere il biochar, però, non è così semplice: la decomposizione termochimica dei residui organici – chiamata pirolisi - necessita di una lenta combustione in assenza di ossigeno a più di 300 gradi.

I vantaggi del materiale comunque sono notevoli. Gli studi svolti in Toscana dall’apposito progetto dell’Ibimet Italian Biochar Initiative, rivelano che aggiungendo 10 tonnellate di biochar ad un ettaro di terreno si sottraggono all’atmosfera 30 tonnellate di CO2.

Forno biochar
Un piccolo forno biochar
Immettere biochar nel terreno significa però “innanzitutto sbarazzarsi di residui organici (…) che oggi vengono bruciati”, spiega Miglietta. Anche i pochi residui che vengono mandati al compostaggio anziché agli inceneritori, inoltre, nel giro di qualche anno liberano il loro carbonio nell’atmosfera. Ricerche dell’università di Cornell, suggeriscono che sotterrare biochar, invece, raddoppia la capacità del suolo di trattenere carbonio.

Oltre al carbonio, la Terra Nera trattiene sostanze nutritive, e - essendo porosa - attira vermi: per questo gli indios la utilizzavano come fertilizzante. Secondo recenti studi dell’università di Bayreuth il biochar può raddoppiare la crescita di piante su terreno non fertile.

I gas liberati durante la carbonizzazione dei residui organici permettono di generare energia, ma solo un terzo di quella che si otterrebbe bruciandoli in modo convenzionale. In cambio il biochar cattura la metà del carbonio contenuto nella biomassa.


Come mostra il grafico, il biochar cattura la metà del carbonio contenuto nella biomassa

Data la semore crescente richiesta di energia, però, vi è purtroppo generalmente più interesse per l’incremento della produzione energetica che per la ritenzione di CO2. Pochi sono dunque pronti a investire nel biochar, eppure il suo sfruttamento necessita ancora di ricerca, soprattutto per ridurre i costi delle tecnologie necessarie per la combustione.

Nonostante queste difficoltà, sono già stati sviluppati parecchi “forni biochar”, soprattutto per paesi in via di sviluppo: il Belize e alcuni stati africani, ad esempio, chiedono che il loro utilizzo venga accettato come misura contro i cambiamenti climatici per il protocollo “post-Kyoto”, che verrà firmato a Copenhagen a dicembre.

Insomma, tra le tante proposte iper-tecnologiche e futuristiche, forse quella basata su un’antica terra nera potrebbe rivelarsi tra le più sensate.

29 Marzo 2009 - Scrivi un commento
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2 lettori hanno commentato questo articolo:
9/10/09 02:27, angelo ha scritto:
il biochar secondo me è davvero da prendere in seria considerazione, sopratutto "visto i tempi".
complimenti per il rilievo che gli date. Ho seguito la storia della luciastove, in effetti può dare un valido contributo nei paesi sottosviluppati. Ma che dire di noi?
Avremo mai accesso a una simile tecnologia casa per casa?
esiste in rete uno schema della piccola stufa che ho visto nella foto?
saluti. Angelo
2/5/09 16:02, Nicola Deiana ha scritto:
Noi applichiamo la pirolisi in camera stagna a più di mille gradi per evitare la formazione di diossine o furani.
Il ns. sistema infatti non ha camini per questa dissociazione molecolare.
vedere sito www.pyromex.it
Cotrdiali saluti
Dr.Nicola Deiana

Considerata l'attuale situazione, mi sento in dovere di rimetterVi la presentazione della nostra tecnologia per la gassificazione dei rifiuti misti, anche al fine di permettere ai cittadini di conoscere realmente tutte le tecnologie esistenti e di certo molto più evolute ed efficienti del conclamato termovalorizzatore.
La Pyromex Italia, da me rappresentata, è licenzataria per la costruzione e la commercializzazione dell’impianto di gassificazione rifiuti in camera stagna.
L’impianto, peraltro modulare per capacità, funziona con forno ad induzione elettrico ed è pertanto privo di camini di alcun genere. Ciò significa che I RIFIUTI NON VENGONO BRUCIATI E NON CONSUMA OSSIGENO , non esiste nessun tipo di emissione (zero assoluto certificato!!)- Sopra gli impianti, realizzabili anche interrati, può essere previsto un giardino pensile o, a seconda delle dimensioni, una polisportiva con utilizzo della energia termica in esubero.
Il residuo solido dell’impianto, è un materiale basaltico inerte che può essere utilizzato quale materia prima per laterizi o fondi stradali. NON E' PREVISTA ALCUNA DISCARICA.
Lo stesso PUO' LAVORARE RIFIUTI URBANI, SPECIALI, OSPEDALIERI, PLASTICA e quant’altro senza necessità di cernita alcuna oppure il residuo derivante dalle cernite.
Le dimensioni dell'impianto sono circa un decimo di un termovalorizzatore e produce il doppio di energia.
Occorre sottolineare che dai detti rifiuti si ricava a ciclo chiuso il “syngas”, che può essere trasformato in combustibile liquido od in energia elettrica.
L'energia elettrica prodotta viene venduta ed immessa in rete e solo una parte è utilizzata dall’impianto per autoalimentarsi; oltre alla energia elettrica viene prodotta energia termica. Tutto ciò permette un ammortamento dell’investimento in tempi brevi.
Il sistema modulare ci consente di eseguire il progetto in più fasi, di avere una partenza in pochi mesi oppure l'installazione in più punti della città , vista l’assenza di ciminiere, per ridurre i tempi di raccolta ed il trasporto.
Siamo intervenuti giovedi 10.01 alla trasmissione Uno mattina per far conoscere l’esistenza di tale tecnologia e riteniamo non sia corretto comunicare alle persone che l’unico sistema valido di smaltimento rifiuti sia il termovalorizzatore che per noi risulta obsoleto. Qualora riteniate opportuno che si conosca anche questa possibilità, con la quale già da subito i rifiuti possono essere trasformati in energia ovverosia in ricchezza, potrete considerarci a vostra disposizione.
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