Già da vent’anni viene effettuato sistematicamente il recupero e il riciclo delle batterie piombose cioè quelle presenti nelle automobili (ma anche in automezzi, trattori, barche e simili). Esse contengono sostanze nocive che se disperse nell’ambiente possono contaminarlo per cui devono essere demolite seguendo un opportuno processo. Inoltre, è possibile estrarre il piombo per riutilizzarlo riducendo così gli sprechi. Tale raccolta è stata realizzata fin da subito con successo visto che le batterie esaurite vengono abitualmente lasciate agli elettrauto i quali si occupano poi di avviarle verso lo smaltimento e il recupero. Questa seconda fase è invece affidata al Cobat, Consorzio Obbligatorio per le Batterie al Piombo Esauste e i Rifiuti Piombosi, ente istituito nel 1988 tramite legge nazionale, proprio per far fronte a queste esigenze.
Cosa ne è invece di tutte le altre batterie, cioè delle pile che comunemente utilizziamo per calcolatrici e piccoli elettrodomestici?
Cassette di raccolta sono comparse in questi anni qui e là, ma in quantità troppo scarsa e di conseguenza l’iniziativa non ha riscosso molto successo. Del resto non vigeva alcun obbligo e il recupero veniva effettuato su base volontaria da parte di Ecoelit, Consorzio Nazionale Volontario Accumulatori ed Elettroutensili (fondato, già tredici anni fa, da importanti aziende di natura internazionale).
Ed ecco la novità.
Il recentissimo decreto legislativo n.188, datato 20 Novembre 2008, ha esteso in Italia l’obbligo di recupero alle pile e agli accumulatori non basati sull’uso di piombo bensì sull’impiego di altri metalli o composti. Tale decreto recepisce e rende effettiva la direttiva europea 2006/66/CE.
Ad essere incluse sono: le batterie primarie (cioè pile) di tipo zinco-carbone, alcalino-manganese, litio, zinco-aria, ossido d’argento, le batterie secondarie/ricaricabili (vale a dire accumulatori) al nichel-cadmio, nichel-idruro metallico, ioni e polimeri di litio.
Come garantire che tali batterie esaurite siano realmente ed efficacemente raccolte e, quando possibile, riciclate?
Il medesimo decreto ha previsto all’uopo la costituzione di un nuovo ente. Si tratta del Centro di Coordinamento Pile ed Accumulatori (CdCPA), istituzione senza scopo di lucro fondata il 1°gennaio 2009 con la finalità di rendere agevole la raccolta di pile e accumulatori esauriti e consentire un efficace avviamento di tali materiali di rifiuto verso lo smaltimento.
“Organizzeremo una filiera logistico-operativa che consenta ai consumatori di liberarsi facilmente delle vecchie batterie”, ha dichiarato ai microfoni di Ecoradio Marco Arnaboldi Presidente del CdCPA. “Esse dovranno essere rilasciate presso i punti di raccolta che saranno numerosi ed equamente diffusi su tutto il territorio nazionale”.
A questo punto viene da chiedersi se il recupero e il riciclo determineranno un aumento del prezzo al dettaglio dei dispositivi di alimentazione con evidente ricaduta negativa sul portafoglio degli Italiani. “No”, garantisce lo stesso Arnaboldi, “saranno i produttori organizzati in consorzi e sistemi collettivi a farsi interamente carico dei costi; inoltre, essi si occuperanno dell’invio delle batterie verso le aziende che effettueranno praticamente lo smaltimento e il riciclo”.
Il Centro di Coordinamento Pile e Accumulatori dovrà prendersi cura anche del monitoraggio e della rendicontazione del processo di recupero, nonché organizzare campagne di informazione e sensibilizzazione. Esso si propone, in più, di favorire ed incentivare la ricerca nel campo della progettazione di dispositivi di accumulo ad alta efficienza e ridotto impatto ambientale.
“I tempi previsti per l’organizzazione della filiera in tutta Italia”, ha affermato Arnaboldi, “sono dell’ordine dei sei mesi”.
Ragioni per sperare bene ci vengono dalla considerazione dell’operato del Cobat il quale in vent’anni di attività ha svolto un lavoro eccellente nel recupero e nell’avvio al riciclaggio delle batterie al piombo, tant’è che l’Italia è stata assunta come esempio per altri Stati europei meno efficienti su questo piano.
Ovviamente ci sarà ancora da aspettare perché il sistema vada a regime. Gli obiettivi sono ambiziosi: raggiungere un tasso di raccolta del 25% per le batterie che non fanno uso di piombo, entro il settembre 2012 e del 45% entro il settembre 2016.
Va da sé che prevenire è comunque meglio che curare. Meglio affidarsi ad elettrodomestici che fanno uso di alimentazione di rete. L’energia si consumerà lo stesso ma si eviteranno tutti i costi, gli sprechi e i rischi ambientali connessi con la produzione, la raccolta, lo smaltimento e il recupero dei dispositivi di accumulazione.
20 Gennaio 2009 - Scrivi un commento