Quando, dove e perché si realizzano sul nostro territorio turbine eoliche, impianti idroelettrici e termovalorizzatori: ecco la posta di un gioco le cui fiches sono i certificati verdi.
Questi strumenti sono l’oggetto di un mercato per certi versi analogo a quello delle emissioni, il “cap and trade” su CO2 e altri inquinanti che fa tanto discutere su scala globale. Ma se in questo caso le aziende coinvolte pagano in contanti il loro diritto a emettere gas serra oltre la soglia prevista, per quanto riguarda i certificati verdi stiamo parlando del mercato italiano dell’energia elettrica.
Gli operatori nazionali sono tenuti a produrre ogni anno una certa quota di elettricità da fonti rinnovabili. Il piano, voluto da Bersani nel 1999, include tutte le principali fonti, tranne il solare, che prevede un’incentivazione a parte. La quota annuale cresce progressivamente: dal 2% che era richiesto nel 2001, scalerà di anno in anno fino al 7,55% che sarà necessario immettere in rete nel 2011. Oggi è intorno al 5%.
Il meccanismo dei certificati verdi consente agli operatori che non producono sufficiente elettricità pulita di acquistare questi titoli compensativi da aziende virtuose, la cui produzione eccede la soglia. Così, i primi rientrano nei limiti di legge senza essere costretti ad adeguare la produzione, i secondi aumentano le proprie entrate. Perno di questo mercato è il Gse (Gestore dei Servizi Elettrici), società pubblica che rilascia i certificati verdi ai produttori di energia pulita riconosciuti (certificazione Iafr), vigila sul rispetto delle quote annuali da parte degli operatori e, infine, dovrebbe riequilibrare il mercato dei certificati verdi, che rischia sbilanciamenti dovuti alla libera domanda e offerta degli imprenditori.Questo sistema è stato utile a lanciare gli investimenti nelle rinnovabili in Italia, ma si sta trasformando in uno strumento speculativo. Negli ultimi anni il valore di mercato dei certificati ha fluttuato ed è persino sceso. Anche per questo si è pensato di aumentare il numero di anni per cui il produttore può sfruttare questi titoli: prima 8, poi 12, ora 15. E il sistema regge bene: già all’origine concepito per far crescere le rinnovabili beneficiando i privati, si è fatto ancora più attraente. Il meccanismo garantisce incentivi per la costruzione degli impianti e profitti alti e certi per diverso tempo. In molti casi le entrate dovute ai certificati superano ampiamente quelle della vendita effettiva dell’energia pulita, che è di fatto un’operazione separata.
Tanti nuovi imprenditori piccoli e grandi, italiani e non, vedono l’affare e si affrettano a entrare. E la pressione sul territorio cresce. Sono tante le controversie sorte in Italia negli ultimi anni, da nord a sud. Impianti nati senz’altro criterio che l’accesso al munifico sistema di incentivi. Due settori più degli altri sembrano soffrirne: l’eolico e l’idroelettrico.
Regioni come la Basilicata, la Calabria o la Toscana vedono moltiplicarsi i parchi eolici e insieme le denunce sulla loro inutilità, che diventa sfregio al paesaggio. Si installano turbine in aree appenniniche sempre meno ventose, dopo che le migliori sono state già occupate. Spesso le cifre ufficiali sull’energia prodotta sono distanti dalla realtà, denuncia l’associazione Italia nostra. In fondo alla catena di accuse c’è la concessione dei certificati verdi, quasi a pioggia, senza tenere in conto le caratteristiche reali degli impianti.
La Calabria attira investimenti da tutta Italia e anche da fuori, come è successo con la spagnola Gambesa, fra i leader mondiali dell’eolico. Sull’isola di Capo Rizzuto si prepara il parco eolico più grande d’Europa. Del resto l’entità delle sovvenzioni italiane – circa 200 euro a megawatt, contro gli 80 dei maggior paesi europei – richiama tante imprese straniere, disposte anche a sopportare i fastidi della burocrazia nostrana. Come le valutazioni d’impatto ambientale, che poi non sempre sono così accurate, o addirittura non si fanno, com’è accaduto nel caso dell’impianto toscano di Scansano, bloccato dal Tar regionale nel 2007 dopo una settimana di funzionamento.
E il mercato dei certificati verdi colpisce anche altrove. Succede nel nord Italia, dove gli impianti per l’energia idroelettrica hanno invaso le Prealpi. Alcune centrali di grandi dimensioni e una miriade di impianti minori, di scarsa efficacia e sicuro danno ecologico.
Così, il sistema che doveva favorire interessi pubblici e privati insieme, finisce sempre più per divaricarli. Certificati molto convenienti e concessioni disinvolte creano il problema. Alcuni osservatori, come il professor Arturo Lorenzoni, propongono la sostituzione dei certificati verdi con le “feed-in tariffs” (usate in Germania e Spagna), in cui il produttore di energia pulita viene remunerato direttamente a prezzi fissati a seconda della fonte utilizzata. In questo caso l’incentivo è diretto e fissato dal ministero e non dall’andamento del mercato. Ma al di là del meccanismo che si sceglie per sostenere le rinnovabili, il vero nodo sembra quello del lobbying. Gli interessi dei grandi attori economici dell’energia sono la vera ipoteca sulla politica ambientale italiana.
Se si pensa che proprio il Cip6 e i certificati verdi sono le principali leve economiche del nostro paese per le politiche energetiche, si capisce l’urgenza di sottrarre questi strumenti agli interessi particolari di chi li distorce. Pressioni private che si intrecciano col lassismo di alcuni politici e amministratori. Così si preda il potenziale immenso del nostro territorio, la sua bellezza e il suo valore. E certo non si risolve la questione energetica, vecchia di decenni.
28 Ottobre 2008 - Scrivi un commento