Risalgo tipo salmone la corrente dei colori della notizia. Il web da questo punto di vista è il peggio. Kurt Vonnegut aveva coniato una definizione per il punto zero in cui tutte le ragioni e tutti i torti hanno lo stesso valore: infundibulo iconosinclastico. Questo è il web, questa è, in parte, la nostra palla di plastilina sociale. Basta saperlo.
Riassumiamo la nuotata:
Sul Riformista esce un’indagine di Anna Mendolesi sui rischi legati alla vendita e consumo del latte crudo dai distributori.
La notizia casca come un mattone sulla comunità delle persone attente alle tematiche “ambientali” e viene riportata su diversi blog (bioetiche.blogspot.com/2008/12/allarme-per-il-latte-crudo-la-moda.html e crisis.blogosfere.it/2008/12/nuovo-spauracchio-il-latte-crudo.html) innescando la polemica.
Non vorrei aggiungere le mie opinioni sulla questione. Vorrei sottolineare un modus, un paradigma che sta arrivando al suo esaurimento.
Alla base, il problema non è se sia più o meno sano acquistare e consumare latte crudo o se le holding della grande distribuzione stiano o meno sabotando un processo evolutivo del mercato.
Il problema è il collasso della fiducia in un sistema che diviene sempre più complesso e che ha abbondantemente dimostrato la sua fallibilità, non perché cattivo in sé, ma perché non in grado di gestire quella complessità.
Non mi fido delle holding della grande distribuzione, ma non mi fido neanche dell’allevatore il cui latte acquisto tutti i giorni... non mi fido di chi ha l’appalto per il controllo dei parametri igienici dei distributori e del veterinario che si occupa della salute degli allevamenti… e neanche troppo della cassiera che mi frega sul resto… Gli ultimi decenni di deleghe mal riposte (e di informazione “terroristica”) ci hanno insegnato che non ci si può fidare. A priori.
E’ diventato tutto troppo complesso. Il rapporto di “fiducia” alla base delle strutture sociali, ed il “mercato” ne è parte fondamentale, si è rotto.
Joel Salatin, scrittore ed agricoltore “radicale” americano, nel suo articolo “All I want to do is Illegal” (tutto ciò che voglio fare è illegale) da uno spaccato illuminante della situazione di assurdo stallo normativo in campo agricolo.
Nello scenario descritto da Salatin, terribilmente simile a quello presente in quasi tutti i paesi occidentali, risulta palese come normative, regolamenti e burocrazia non facciano che allontanare sempre di più le persone dalle loro responsabilità primarie: procurarsi cibo, un tetto e relazioni sociali soddisfacenti ed impediscano fattivamente il riallacciarsi dei rapporti fondamentali per ricostruire un “mercato diverso”, che rinnovi e rinsaldi un rapporto di fiducia.
Salatin, già negli anni ’70, si scontrò con l’impossibilità legale di allevare “allo stato brado” le sue dieci mucche e di vendere il latte prodotto ai suoi vicini.
Le normative, i regolamenti, per quanto fondamentali in via di principio, non prevedono l’assunzione di responsabilità diretta. Costringono al “nero” o a sotterfugi il consumatore ed il produttore che vogliano seriamente cooperare in una dinamica di collaborazione e compartecipazione, minando alla base la creazione di un rapporto di mutualità e fiducia.
E’ un’ipotesi, soltanto un’ipotesi. Ma provate a lavorarvela, a giocarci insieme, a evolverla e svilupparla.
Se il produttore conoscesse la faccia, la famiglia, i gusti del consumatore e se il consumatore conoscesse il lavoro, gli spazi, i gesti del produttore, ci sarebbe bisogno di regolamentazioni, analisi e controlli? Ci sarebbe bisogno di normative antisofisticazione?
Ed il “mercato” sarebbe ancora il mero snocciolare cifre digitali sullo sfondo di un’instabile panorama finanziario?
9 Dicembre 2008 - Scrivi un commento