Il governo italiano, di concerto con i vertici di Confindustria, ha deciso di entrare in netto contrasto con i programmi europei in materia di contenimento delle emissioni inquinanti, affermando di ritenere troppo elevati per l’industria nazionale i costi economici necessari per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, soprattutto alla luce della grave crisi finanziaria che ha recentemente colpito l’Occidente. Costi che proprio uno studio di Confindustria avrebbe quantificato in circa 180 miliardi di euro nel corso dei 12 anni che ci separano dal 2020.
Mentre l’Unione Europea dimostra di ritenere, avendolo ribadito ancora ieri con le parole del Presidente della commissione UE Barroso, il piano europeo sul cambiamento climatico e l'energia come parte della soluzione per fronteggiare la crisi economica, di contralto il governo italiano continua a ritenere che le misure proposte rappresentino solamente un costo economico - peraltro insostenibile alla luce della situazione attuale - anziché un investimento economicamente produttivo.
Questa evidente dicotomia di vedute che potrebbe preludere ad una definitiva frattura fra i programmi futuri della UE e del nostro Paese in tema di provvedimenti a favore dell’ambiente, merita senza dubbio qualche riflessione.
Occorre innanzitutto sottolineare come tutta la questione venga affrontata a livello politico focalizzando l’attenzione solamente sulle conseguenze economiche dei mutamenti climatici, senza prendere nella minima considerazione le conseguenze ecologiche di un fenomeno che secondo le conclusioni dell’ultimo rapporto degli studiosi dell’IPCC, approvato a Parigi il 2 febbraio 2007, potrebbe determinare un vero e proprio “collasso” in grado di causare perfino l’estinzione della specie umana o comunque determinare stravolgimenti della biosfera in grado di pregiudicare la possibilità dell’uomo di vivere sul pianeta così come lo ha fatto fino ad oggi.
In conseguenza di ciò, l’approvazione di stringenti normative in materia di emissioni inquinanti, volte a tentare di non peggiorare ulteriormente la già compromessa situazione, risulta indispensabile a prescindere da quali possano essere le implicazioni economiche di tali normative.
Restando invece all’interno dell’ambito economico nel merito del quale si è fino ad oggi svolto il confronto, vanno sicuramente ricordati i risultati emersi dal Rapporto Stern, presentato a Londra il 30 ottobre 2006 e commissionato dal governo britannico al fine di vagliare le potenziali conseguenze economiche dei danni ambientali determinati dai mutamenti climatici.
Gli economisti che hanno portato avanti lo studio che consta di 700 pagine, sono arrivati alla conclusione che a livello mondiale sarebbe stato indispensabile “sacrificare” fin da subito almeno l’1% del Pil globale, per evitare una catastrofe ambientale che avrebbe condotto ad una crisi economica notevolmente superiore a quella del 1929, in grado di determinare la perdita del 20% dell’intero Pil mondiale.
Tutto ciò poiché un incremento della temperatura media superiore ai 2 gradi sarebbe in grado di provocare disastrose conseguenze nell’ambito dell’agricoltura, del turismo e della salute umana che per forza di cose oltre alle implicazioni di carattere ecologico e sociale determinerebbero conseguenze altrettanto imponenti in termini economici. Sempre Stern non ha mancato di ricordare al governo britannico come la scelta di continuare per la nostra strada fingendo che nulla stia accadendo (sostanzialmente l’atteggiamento proposto da Berlusconi) avrebbe il solo effetto di soffocare ulteriormente la crescita economica.
A confermare le opinioni espresse all’interno del Rapporto Stern, oltre alle riflessioni di molti altri economisti e uomini politici dalla notoriamente scarsa sensibilità ambientalista, sono arrivate nei giorni scorsi anche le conclusioni di uno studio realizzato dall’Università di Berkley, concernente gli effetti sull’economia delle politiche di efficienza energetica intraprese dalla California all'indomani dello shock petrolifero del 1977.
David Roland-Holst, economista del Center for Energy, Resources and Economic Sustainability del prestigioso ateneo californiano ha infatti messo in luce come nel corso dell’ultimo trentennio l’introduzione in California di altissimi standard di efficienza energetica sia per quanto concerne gli edifici, sia nell’ambito degli elettrodomestici, abbia determinato la creazione di un vero e proprio circolo virtuoso che oltre a determinare un miglioramento dello stato di salute dell’ambiente ha comportato la creazione di un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro a fronte dei 25mila persi.
Il notevole risparmio energetico, grazie al quale la California consuma oggi la stessa quantità di energia che bruciava 30 anni fa, mentre nel resto degli Stati Uniti nello stesso lasso di tempo i consumi sono raddoppiati, ha evitato la costruzione di 24 nuove centrali elettriche di media potenza, lasciando nelle tasche dei cittadini una gran quantità di dollari sottratti al pagamento delle bollette dell’energia.
Lo spostamento di grandi risorse da un settore a bassissima incidenza d’occupazione come quello dei prodotti petroliferi, ad altri settori come l’alimentare, le manifatture ed i servizi che comportano un elevato numero di occupati si è rivelata una molla in grado di sollevare l’economia californiana che a fronte di "perdite" per 1,6 miliardi di dollari nel settore energetico, nel corso del trentennio preso in esame, ha visto crescere il volume d'affari complessivo di ben 44,6 miliardi di dollari.
Stante il presupposto che tentare di salvare l’ambiente rappresenta una scelta indispensabile che travalica qualunque differenza politica ed ideologica, se vogliamo evitare che i nostri figli, nel migliore dei casi, si ritrovino a “spendere” la propria vita sotto terra all’interno di metropoli che sopravvivono in atmosfera controllata, sembra evidente alla luce dei principali studi che hanno analizzato la materia, come “salvare l’ambiente” sia anche l’unica via per “salvare l’economia”, dal momento che una delle conseguenze del disastro ambientale sarebbe proprio quella di compromettere la sopravvivenza del sistema economico.
Berlusconi e Confindustria, probabilmente incapaci di trovare una chiave di lettura della realtà che prescinda dal brevissimo periodo, sembrano fino ad oggi totalmente refrattari a farsi carico di qualsiasi responsabilità in questo senso, imponendo per forza di cose il proprio atteggiamento a tutti gli italiani. Non resta che sperare in un ripensamento, magari indotto dalla tardiva presa di coscienza che agire così non “conviene “ neppure ai loro interessi, economici naturalmente.
29 Ottobre 2008 - Scrivi un commento