Stilato per la prima volta dieci anni fa, nel 1998 e 1999 il rapporto presentava i dati dell’elaborazione del Living Planet Index, ovvero Indice del Pianeta Vivente. A questo dal 2000 è stato affiancato l’Ecological Footprint, l’impronta ecologica dell’umanità. Importante novità del 2008 è l’introduzione di un terzo indicatore, ossia quello dell’Impronta idrica.
L’Indice del pianeta vivente riflette lo stato degli ecosistemi della terra, mostra cioè l’andamento della ricchezza della vita sulla terra (la biodiversità) attraverso l’analisi dei trend delle popolazioni di alcune specie di animali caratteristiche di grandi biomi del pianeta, come gli ecosistemi forestali, gli ecosistemi delle acque interne e quelli marini.
L’Indice dell’Impronta ecologica presenta la dimensione e la tipologia della domanda umana sulla biosfera in termini di superficie di terra e mare produttiva dal punto di vista biologico, necessaria alla produzione delle risorse che le persone utilizzano e all’assorbimento dei materiali di scarto generati.
L’Indice dell’Impronta idrica è costituita dal volume totale di risorse idriche utilizzate per produrre i beni ed i servizi consumati dagli abitanti di quella nazione. L’Impronta idrica totale di una nazione è costituita da due componenti:
- impronta idrica interna, ossia la quantità di acqua necessaria a produrre beni e servizi prodotti e consumati internamente al Paese;
- impronta idrica esterna, che deriva dal consumo di merci importate.
Il Living Planet 2006, l’ultimo fino a quello di oggi, indicava un crollo della biodiversità ed una riduzione delle risorse ad una velocità talmente elevata da far supporre che, se sfruttate a questi ritmi, nel 2050 non saranno più disponibili.
A due anni di distanza, cosa è cambiato?
L’edizione 2008 del Living Planet Report è stata presentata ieri a Roma, presso la sede nazionale del WWF Italia, in occasione della conferenza stampa all’interno della quale Gianfranco Bologna, direttore scientifico e culturale del WWF Italia, e Michele Candotti, direttore generale, hanno illustrato gli ultimi dati sulla salute del pianeta, l’impronta ecologica e le prospettive per il futuro.
L’Indice del Pianeta vivente evidenzia un calo del 30% della ricchezza della biodiversità, l’Indice dell’Impronta Ecologica rivela un preoccupante aumento della domanda dell’umanità sulle risorse naturali, mentre dall’Indice di Impronta idrica emerge che circa 50 Paesi stanno affrontando una situazione di stress idrico moderato o grave e si prevede una crescita del numero di persone che si troveranno ad affrontare carenze idriche annuali o stagionali in conseguenza dei cambiamenti climatici.
La situazione delineata mostra che l’umanità non ha ancora imparato a vivere in modo sostenibile ma, al contrario, ha continuato ostinatamente a divorare le risorse naturali conducendo se stessa alla soglia della fine.
La crisi finanziaria che il mondo sta attraversando, per quanto importante essa sia, non è grave quanto la recessione ecologica in cui ci troviamo. Ovunque viviamo, infatti, le nostre vite dipendono dai servizi forniti dai sistemi naturali della terra.
La causa delle due crisi è in fondo la stessa, come spiega James Leape, direttore del WWF Internazionale.
Se il mondo sta vivendo il dramma della crisi economica è perché aveva sovra-stimato le risorse finanziarie a disposizione, allo stesso modo la recessione ecologica è dovuta all’errore compiuto dall’uomo consumando più risorse naturali del dovuto, ovvero inficiando la capacità rigenerativa del pianeta. Conseguenza del superamento dei limiti ecologici è l’esaurimento degli ecosistemi e l’accumulo di materiali di scarto nell’aria, nella terra e nell’acqua.
Dal 1961 al 2005 la domanda dell’umanità, spinta dall’incremento demografico e dai consumi individuali, è più che raddoppiata. La nostra impronta globale supera, attualmente, la capacità rigenerativa del Pianeta di circa il 30%.
Stati Uniti e Cina hanno le Impronte Ecologiche nazionali maggiori. L’Italia è al 24° posto nella lista delle maggiori impronte ecologiche del mondo mentre occupa la 4ª posizione della classifica mondiale riguardante l’impronta idrica del consumo (il nostro paese è cioè il 4° consumatore mondiale di acqua).
Se i trend attuali continuassero, nel decennio tra il 2030 ed il 2040 il deficit sarebbe del 100%. Ci servirà dunque un altro pianeta delle dimensioni del nostro. Fantascienza? In effetti sì. E allora? Non ci resta che prepararci alla fine del mondo?
In realtà, la situazione, sebbene catastrofica, non è irrecuperabile: un’inversione di rotta può ancora ridurre il deficit delle risorse.
Un insieme di azioni mirate all’efficienza, all’uso delle energie rinnovabili e alle tecnologie a basse emissioni potrebbero determinare un aumento dell’Indice del Pianeta Vivente, un’Impronta Ecologica più ridotta ed una maggiore disponibilità di acqua in molte parti della Terra.
Il Living Planet Report 2008 fa a tal proposito riferimento al concetto di “cunei energetici” o “cunei di sostenibilità”, ovvero le strategie principali di riduzione delle emissioni di carbonio ed incremento dei servizi energetici. Tali strategie riguardano primariamente: l'interruzione del collegamento tra servizi energetici e la produzione primaria di energia; la crescita simultanea delle tecnologie a basse emissioni; la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CSS).
Cambiando i nostri stili di vita ed indirizzando le nostre economie verso percorsi più sostenibili è quindi possibile arginare la crisi: come disse il genio Albert Einstein, e come ha ricordato ieri Gianfranco Bologna, "Non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che lo ha creato".
12 Novembre 2008 - Scrivi un commento