I guai verdi dell’Olimpiade

A tre settimane dall’inizio dei Giochi, la Cina non ha ancora risolto molte delle grane ambientali che minacciano le gare. La promessa di un’Olimpiade pulita è a rischio, così come le ambizioni di risanamento ambientale della superpotenza, che ha ormai superato Stati Uniti ed Europa nelle emissioni globali. Pechino si avvicina a un’occasione simbolica, che può svelare le reali intenzioni del suo governo.

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di Stefano Zoja


Una centrale a carbone in Cina
Ci sono volute le Olimpiadi perché il volto di Mao sparisse dalle banconote cinesi da 10 yuan, sostituito dal futuristico “Nido” d’acciaio, lo stadio pechinese simbolo di questi Giochi. In nome della più importante manifestazione sportiva al mondo, che significa l’ingresso ufficiale, trionfale e definitivo della Repubblica popolare cinese nel salotto buono della globalizzazione, il governo di Pechino si è dato il compito di rivisitare persino i propri simboli e ideali. Almeno in pubblico e per i prossimi mesi.

Fra le battaglie che si vogliono combattere in vista dell’Olimpiade fa rumore quella per l’ambiente. La Cina, sotto impulso di un’economia giovane e affamata che corre intorno al 10% di crescita da anni, sta diventando il paese più inquinato e inquinante al mondo. E’ di qualche tempo fa la notizia che la Cina ha ormai sorpassato gli Stati Uniti come principale responsabile globale per le emissioni di CO2 in valori assoluti: circa sei miliardi di tonnellate all’anno; secondo le proiezioni nel 2030 gli Stati Uniti saranno arrivati a otto, la Cina a undici. Il carbone è la fonte energetica privilegiata dall’economia cinese, visto che, a parità di watt di elettricità prodotti, costa meno di petrolio e gas, anche se inquina di più: così, ogni due nuove centrali energetiche che vengono costruite in Cina ogni settimana, una è a carbone.

Per fare fronte a queste cifre, in occasione del suo appuntamento con gli spettatori televisivi del mondo intero, la Cina ha puntato forte su una nuova politica ambientalista, che affrontasse almeno le problematiche direttamente connesse allo svolgimento dell’Olimpiade. Le difficoltà, però, sono enormi dopo anni di inerzia e sregolatezza. Emblematica è stata la rinuncia alla maratona dell’attuale detentore del record mondiale Haile Gebrselassie, etiope di 34 anni e tra i favoriti della disciplina. “L’inquinamento di Pechino è una minaccia per la mia salute, e nelle mie attuali condizioni, correre per 42 km in questo ambiente potrebbe essere pericoloso”, ha spiegato l’atleta, che pure dovrebbe prendere parte ai 10.000 metri. Molti suoi colleghi in giro per il mondo stanno affrontando allenamenti specifici per gareggiare in simili condizioni d’inquinamento.

Nel frattempo, a meno di un mese dall’inizio della manifestazione, lo smog ristagna sulla città, tanto che gli stessi organizzatori lasciano trapelare dubbi sull’effettivo raggiungimento dei valori di sicurezza per gli atleti in tempo per le gare. Persino il “Nido”, il gioiello architettonico delle Olimpiadi, nelle giornate peggiori è scarsamente distinguibile da cento metri di distanza, così come velati dalla coltre di smog appaiono i grattacieli di Pechino.

Eppure molti passi avanti sono stati compiuti. Da sei anni il tasso d’inquinamento in città ha avuto un calo lento ma costante. Molte imprese, in particolare acciaierie e industrie chimiche, sono state chiuse o spostate fuori dalla metropoli, forti investimenti sono stati stanziati per i trasporti pubblici e per migliorare la qualità dell’approvvigionamento idrico.


Lo stadio Bird's Nest a Pechino
Ma a soluzioni di lungo periodo, la Cina ha affiancato iniziative estemporanee, utili forse a migliorare la qualità dell’aria nei giorni delle gare, ma niente di più. Innanzitutto le targhe alterne: nel 2007 per quattro giorni a Pechino si è svolto un test che ha tolto dalle strade un milione e trecentomila auto; è probabile che la misura sarà riproposta. Ma è solo l’inizio. Vacanze più lunghe per tutti, è una delle proposte: incentivi a lasciare Pechino e, dunque, una diminuzione di emissioni dovute a un decremento del traffico e alla sospensione di molte attività, come la costruzione di nuovi edifici o la produzione di cemento. Alcune pompe di benzina verranno chiuse, altre dotate di dispositivi per contenere i fumi nocivi del rifornimento. Persino le vernici spray verranno bandite.

Ma la misura che colpisce di più è “l’inseminazione delle nuvole” (“cloud-seeding”), una rivisitazione ad alta tecnologia della danza della pioggia. Agosto a Pechino è un mese molto umido, e le probabilità che piova il giorno dell’apertura dei Giochi sono calcolate al 50%. Per ovviare a questo rischio e per sciacquare il cielo dagli inquinanti, che in parte precipiterebbero al suolo per la pioggia, gli scienziati hanno deciso di indurre la pioggia qualche giorno prima dell’8 agosto, data d’inizio dell’Olimpiade. La tecnica, non nuova in verità, prevede di lanciare verso le nuvole alcuni razzi, che arrivati a destinazione rilasceranno dello ioduro d’argento, sostanza che avvia una reazione chimica in grado di facilitare la pioggia. A Pechino garantiscono che funziona.

Nell’incontro–scontro fra Cina e natura, tuttavia, quest’ultima sta prendendo la sua rivincita. A Qingdao, la città marittima dove si svolgeranno le gare nautiche, nelle ultime settimane si è formata un’alga verde e vischiosa di 154 miglia quadrate, che ha colonizzato la costa della città e, allo stato attuale, impedirebbe alle barche di navigare.


Alga gigante a Qingdao
L’alga, un’enorme ma innocua distesa di melma verde fosforescente, è stata con ogni probabilità causata dagli scarichi industriali della zona. In questi giorni decine di migliaia di cinesi la stanno rimuovendo a mano.

E, suggestione per suggestione, in Cina ha trovato spazio anche un’invasione di cavallette. Stanno calando in direzione di Pechino e si trovano a poche centinaia di chilometri. Anche qui il governo ha richiamato decine di migliaia di persone, equipaggiate con pesticidi e quattro aeroplani, per bloccare le locuste. In questo caso l’invasione degli insetti non è diretta conseguenza dei problemi ambientali cinesi. Però gli squilibri climatici globali, ai quali come si è visto anche Pechino contribuisce in misura crescente, sono alla base dell’imprevedibilità dei comportamenti delle cavallette.

A conti fatti, Pechino prima ancora che presentabile, ha il problema di essere agibile per un’Olimpiade. Lo stato di deterioramento dell’ambiente da queste parti è tale che, mentre molte misure venivano adottate per convincere il mondo della svolta verde cinese, altre si sono dovute prendere d’urgenza per tamponare le falle che si stavano aprendo a pochi giorni dai Giochi. E nemmeno ora c’è la garanzia che tutto andrà come deve.

D’altra parte, gli organismi di controllo ambientale cinesi, come la Sepa (State Environmental Protection Agency), da un lato lamentano scarsi fondi dal governo centrale, dall’altro sono stati spesso accusati di lassismo. Lo stesso governo, che a parole comincia a riconoscere la serietà delle problematiche ambientali, sembra agire con vera determinazione solo a Pechino e dintorni. Mentre le ripercussioni di queste politiche investono la Cina intera e il pianeta.

In un’inchiesta recente, ripresa anche in Italia da Internazionale, il giornalista americano James Fallows ha voluto inaugurare una nuova visione del ruolo della Cina nella lotta ambientale globale. Dice in sostanza: tale e tanto è il potenziale inquinante della Cina per il prossimo futuro, che se solo decidessero di invertire la rotta in maniera decisa, in un colpo si ridimensionerebbero molti degli scenari più negativi che sono stati tracciati per il futuro del pianeta. I modesti ma inattesi risultati visti finora vanno, dunque, incoraggiati, tanto che più che la Cina, come si coglie in questo periodo e al di là delle storiche apparenze, sembra tenere molto ai riconoscimenti dall’esterno.

Forse allora è utile incoraggiare il gigante cinese. Allo stesso tempo, prosaicamente, si può ricordare che i danni ambientali costano ai cinesi il 9% annuo del prodotto interno lordo (fonte Onu, 2006), mentre le tecnologie verdi possono rivelarsi anch’esse un business formidabile. Tutto questo per restare dentro i parametri economici. Poi ci sono i dati umanitari della questione ambientale, di fronte ai quali finora Pechino ha spesso distolto lo sguardo. I fiumi decadono, la terra fertile arretra, si respira male e la protesta monta. Ora giunge questa tappa storica, la Cina si prepara e si ripensa in attesa dei visitatori stranieri: chissà che non sia l’ora di qualche sorpresa.

17 Luglio 2008 - Scrivi un commento
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