Questa la notizia che da mesi fa il giro del mondo sconvolgendo ed indignando associazioni animaliste, istituzioni ed un numero elevatissimo di cittadini di ogni parte del pianeta. Le email che raccontano la vicenda invitano tutti a firmare una petizione on line per impedire al famigerato artista di partecipare alla Biennale Centroamericana Honduras 2008 che, in precedenza, l’aveva invitato come rappresentante artistico del Costa Rica. Di qualche giorno fa la notizia che gli organizzatori dell’evento hanno ora deciso di impedire a Vargas di parteciparvi.
Con una corda al collo, denutrito, fragilissimo e sofferente: ecco come appare Natividad, il cane in mostra, nelle foto che hanno fatto rabbrividire milioni di persone e sollevato un movimento di protesta di enormi dimensioni.
Nelle stesse immagini è possibile anche leggere il titolo dell’ opera (“Eres lo que lees”, cioè “Sei quello che leggi”) scritto con dei croccantini per cani che però Natividad, legato, non è in grado di raggiungere.
Quando sono venuta a conoscenza di questa storia agghiacciante la prima sensazione che ho provato è stata di disprezzo verso chi ha compiuto un simile gesto per follia, crudeltà o per un’insana brama di notorietà. Eppure, subito dopo, mi sono chiesta: davvero un uomo può lasciar morire un cane solo per far parlare di sé? E, addirittura, davvero Vargas l’ha “ucciso”?
Tuttora non sono riuscita a trovare delle risposte a questi interrogativi, anzi, la ricerca di ulteriori informazioni in proposito mi ha allontanato sempre più dal limitare il mio giudizio ad una condanna al responsabile.
Molti, infatti, sono i dubbi che avvolgono questa vicenda tanto che non manca chi ne ha messo in discussione la veridicità.
La prima controversia riguarda la galleria in cui era esposto Natividad.
Come hanno potuto i responsabili della mostra permettere una simile crudeltà?
Il direttore della galleria, Juanita Bermùdez, dichiara che in realtà, all’animale non è stata inflitta nessuna tortura dal momento che restava legato soltanto durante le ore di apertura dell’esposizione mentre, nelle altre, veniva liberato e regolarmente nutrito. Al termine della mostra, poi, secondo Bermùdez, il cane sarebbe scappato.
Una dichiarazione questa che ribalterebbe l’opinione di moltissimi su Vargas, il quale, dal canto suo, si difende dalle accuse affermando di non aver voluto torturare una creatura innocente ma, piuttosto, mostrare l’ipocrisia della gente che resta indifferente alla vista di un cane sofferente per strada ma poi si indigna se assiste alla stessa scena in una galleria d’arte. Natividad, afferma Vargas, era uno dei tantissimi cani randagi che nella sua città, San Jose, ogni anno muoiono di stenti sotto gli occhi indifferenti di tutti.
Esiste poi un’altra grande contraddizione circa “Sei quello che leggi”: come mai la gente che ha appreso la notizia via internet si è profondamente indignata mentre i visitatori della mostra sono rimasti indifferenti davanti al povero cane in carne ed ossa (o, più precisamente, solo ossa)?
Perché nessuno si è preoccupato di liberarlo o dargli qualcosa da mangiare? Ammesso che intervenire fosse vietato al pubblico, perché nessuno ha trasgredito la regola per salvare l’animale quando ancora era in vita? Perché la protesta è scoppiata solo a posteriori? Ecco, credo che ciò che mi è più incomprensibile in questa storia è capire il perché della non-azione dei visitatori della galleria.
E lui, Guillermo Vargas, è esclusivamente un crudele pseudo artista (come in tantissimi lo definiscono) che ora tenta di “salvarsi la faccia” o, al contrario, dietro la sua opera, quantomeno discutibile, si cela effettivamente la denuncia di un problema sociale?
7 Maggio 2008 - Scrivi un commento