Le aree di “alto mare”, ovvero quelle al di fuori delle giurisdizioni nazionali, occupano oltre i due terzi degli oceani mondiali e anche la loro ricchissima biodiversità, come quella delle acque nazionali, è fortemente minacciata. Circa il 65% degli stock di pesce di alto mare è sovrasfruttato; inoltre la pesca a strascico in acque oceaniche distrugge delle barriere coralline poco note, quelle di profondità, i cui fragili coralli d’acqua fredda e buia ricoprono i cosidetti “sea mountains”, i monti sottomarini, alture sul fondo oceanico.
In molti casi, la pesca legale in alto mare non segue le indicazioni della comunità scientifica mentre i pescatori illegali saccheggiano impunemente, strappando al mare un bottino pari a 1,2 miliardi di dollari ogni anno. Oltre a questo, i sussidi dei Governi sono un flagello che incoraggia flotte di pescherecci sempre più grandi a inseguire pesci sempre meno numerosi, sostenendo una flotta globale “gonfiata”, almeno del 50-60% più grande di quanto dovrebbe essere.
“È giunta l’ora che le acque internazionali d’alto mare ricevano una maggiore attenzione da parte di tutti i paesi, non solo quelli rivieraschi – ha detto Marco Costantini, responsabile Mare del WWF Italia –. Come prima cosa, si deve contrastare la pesca illegale, grazie anche alla ratificazione dell’Agreement on Port State Measures. Poi ci si deve impegnare per impedire la circolazione di navi oceaniche “carretta”, alcune delle quali atte al trasporto del petrolio: la Exxon Valdez, petroliera che nel 1989 si infranse su uno scoglio dell’Alaska, incatramando uccelli marini, lontre e coste integre, poi riparata, circola ancora oggi dopo più di venti anni, e solo da pochi anni non trasporta più petrolio. È infine necessario, per quanto riguarda le attività estrattive, mettere in campo valutazioni di rischio che includano la previsione e la quantificazione dell’enorme danno ecologico, sociale ed ambientale in caso di disastri come quello attualmente in corso nel Golfo del Messico, che avrà conseguenze sugli ecosistemi marini e costieri per almeno 50 anni”.
Risorse marine ben gestite sono vitali per il futuro di milioni di persone in tutto il mondo. Il “Green Economy Report” dell’UE, presentato a New York il mese scorso, stima che in tutto il mondo ci siano 35 milioni di pescatori su 20 milioni di imbarcazioni. Circa 170 milioni di posti di lavoro dipendono direttamente o indirettamente da questo settore, mentre la rete economica collegata alla pesca raggiunge 520 milioni di persone. Inestimabile è quindi il numero di quante persone si nutrono di pesce, e quindi di quante persone dipendano da un ecosistema marino gestito oculatamente e razionalmente.
Nonostante, quindi, l’immenso valore del nostro “pianeta blu”, meno dell’1% degli oceani del mondo è formalmente protetto, contro quasi il 14% delle terre emerse protette.
“Le Aree Marine Protette sono un fondamentale strumento di conservazione della biodiversità e di sviluppo economico sostenibile, un beneficio per le comunità costiere, per la cultura e l’economia delle nazioni che le istituiscono” – ha aggiunto Marco Costantini del WWF Italia.
Recentemente sono stati compiuti importanti sforzi per aumentare la protezione delle acque nazionali, in particolar modo in Italia, con l’istituzione di 4 nuove aree marine protette: (Torre del Cerrano in Abruzzo, Secche della Meloria in Toscana, Costa degli Infreschi in Sicilia e Santa Maria di Castellabate in Campania).
Nel novembre 2009, circa 94.000 mq di acque antartiche sono state trasformate nell’Area marina protetta del South Orkney, con divieto di pesca imposto dalla Commissione per la Conservazione delle Risorse Viventi Marine dell’Antartico.
I leader del mondo hanno riconosciuto che ai nostri oceani serve urgentemente protezione, ma c’è ancora molto da fare. Entro il 2012, devono essere istituite reti di Aree Marine Protette ecologicamente rappresentative ed efficacemente gestite. E i governi che a ottobre si incontreranno a Nagoya, in Giappone, per la Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), dovranno raggiungere un accordo per identificare e proteggere ulteriormente aree di particolare importanza ecologica per la tutela dei mari aperti.
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