Una brutta notizia arriva da Ferrara, dove in questi giorni si è svolta Interpera 2010, una delle più importanti fiere internazionali dedicate alla coltivazione e al consumo delle pere. La pera, in particolare l’Abate Fetel, è uno dei prodotti di eccellenza del settore ortofrutticolo dell’Emilia Romagna, sia dal punto di vista della quantità che da quello della qualità. Il 70% delle pere italiane infatti proviene proprio da questa zona e l’Unione Europea ha riconosciuto la tutela dell’eccellenza regionale registrando la Pera dell’Emilia Romagna IGP.
Tutta l’Italia poi è una potenza mondiale nella produzione e nella commercializzazione di questo frutto: con circa 850.000 tonnellate è il più importante produttore europeo e uno dei primi al mondo insieme ad Argentina, Cile e Sudafrica. Il più grosso in assoluto è la Cina, che produce ogni anno 13 milioni di tonnellate di pere, più della metà della produzione mondiale.
Tuttavia, nonostante questi numeri, il mercato italiano è in forte crisi. Il calo della produzione nel corso dell’ultimo anno è di quasi il 20%. A destare ulteriore preoccupazione, oltre alla congiuntura di ordine strettamente commerciale, sono i propositi e i programmi degli addetti al settore per risollevare il mercato. Il presidente del CSO (Centro Servizi Ortofrutticoli), ha dichiarato che "Sarà necessaria una sempre più attenta e attiva azione di incentivazione all’export verso i mercati tradizionali ma anche verso i nuovi mercati. La competitività globale e i nuovi consumi impongono efficaci azioni coordinate per abbattere le barriere fitosanitarie oggi ancora presenti in molti paesi".
Il problema sono le importazioni: il saldo commerciale è del -35%, che vuol dire che i prodotti che provengono dall’estero sono di più e costano meno di quelli italiani. A livello europeo i dati sono confermati: la produzione ortofrutticola locale è diminuita del 15%, mentre quella globale è aumentata più o meno dello stesso valore. Il fatturato dell’export è cresciuto di 30 milioni di dollari, quello dell’import di 40 milioni, ben 10 in più. In Italia le importazioni di frutta e verdura hanno subito un incremento del 22% e si sono moltiplicati i casi di falsificazioni e mancata osservazione del DL 306/02, che stabilisce delle sanzioni per chi non fornisce sull’etichetta indicazioni sull’origine e sulle modalità di coltivazione dei prodotti.
I dati negativi del settore commerciale sono confermati da un’analisi di SG Marketing sulle abitudini dei consumatori. Se quasi tre quarti di essi hanno l’abitudine di consultare le etichette – sempre che le informazioni che vi sono riportare siano esaustive –, per poco più della metà (59%) l’origine del prodotto non comporta un criterio di scelta, e il dato è ancora più basso (39%) per i giovani. Ancora più preoccupante la statistica che conferma che il 60% dei distributori ritiene fondamentale dal punto di vista commerciale proporre frutta e verdura fuori stagione: fragole a gennaio e mele ad agosto.
Sembra quindi che una delle armi che potrebbero rendere l’Italia competitiva sul mercato esterno e, soprattutto, pienamente sovrana nel mercato interno, venga usata poco e male. L’eccellenza e la tipicità dei prodotti nostrani non servono a fermare l’invasione di merci importate - spesso di scarsa qualità e sottoposte a pochi controlli - che, oltre ad abbassare la qualità della nostra alimentazione, mettono in crisi il mercato locale e i coltivatori italiani. Oggi più che mai quindi, chilometro zero e filiera corta non devono essere solo degli slogan pubblicitari un po’ alternativi, ma delle scelte decise di consumo critico e consapevole.
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