Senza intraprendere la manfrina di stampo cattolico né balbettare le frasi tanto vacue quanto inutili di una sinistra che non esiste o di una destra che con le sue altisonanti e preconfezionate uscite continua a raccontare di risolvere tutto col fucile, sarebbe bene fermarsi, una volta ogni tanto, e riflettere su cosa è diventato questo Paese di (ex?) emigranti.
Dimenticate le valigie di cartone dei propri padri e dei propri nonni, desiderosi di essere “padroni a casa propria”, i giovani italiani di oggi, oltre ad un’ignoranza disarmante su ciò che succede nel mondo, non permettono a molta altra gente su questo pianeta di essere padroni a casa propria. Tanto da essere poi costretti a trasferirsi in zone ridenti come quelle della piana di Gioia Tauro e della pianura padana a spaccarsi la schiena e a vivere alla diaccio in inverno o nel caldo torrido in estate in cisterne metalliche ed accampamenti di fortuna nei quali devono tirare a campare.
Vale la pena, quindi, stare a cercare soluzioni dell’ultima ora quando al nord (in provincia di Brescia) non danno il permesso di professare la propria religione agli immigrati arabi e al sud sparano addosso agli africani, come se le condizioni in cui si trovano non gli permettessero di essere almeno lasciati in pace, di essere almeno ignorati?
Per ogni azione c’è una reazione. Non ci si può stupire se, nel momento in cui ci si trova in condizioni di disagio e sfruttamento che noi “civili” italiani non potremmo nemmeno immaginare, si reagisce violentemente alle azioni di chi gioca a fare il gangster con delle armi ad aria compressa (che usino delle pistole ad acqua, la prossima volta, almeno non rischiano di fare e di farsi male). Non si può pensare di continuare ad organizzare ronde o sparare alla gente senza che queste azioni, appunto, provochino una reazione. Purtroppo lo Stato non esiste, lo abbiamo capito.
Sono quindi comprensibili le reazioni di chi, abbandonato dalle proprie Istituzioni (ovviamente non quando si tratta di dover pagare delle tasse), si organizza per rimettere ordine da sé nel proprio territorio. Ma in un Paese in cui la polizia non ha nemmeno più la benzina per le sue auto, in cui l’attenzione è sui lodi salva-premier da una parte o sugli indulti dall’altra, che almeno queste assurdità abbiano un senso.
La rabbia di chi si vede svaligiata la propria casa per l’ennesima volta è sacrosanta, ma quella di chi non ha nulla da perdere perché nulla gli è mai stato concesso lo è ancora di più. E fa ancora più paura. Perché a Rosarno possono arrivare la polizia in tenuta anti-sommossa o i capetti di turno a fare da “castiga matti”, ma come abbiamo visto, sotto la cenere c’è una rabbia che può manifestarsi in moltissimi modi, anche meno eclatanti di quelli degli immigrati africani di Rosarno. Ma non per questo meno pericolosi.
Uno sciopero che dimostrerà, seppur solo per un giorno, che le coltivazioni di arance e pomodori, così come le instancabili aziende del nord e del nord-est, non potrebbero più andare avanti senza di loro. E gli imprenditori settentrionali, magari leghisti, che impiegano manodopera a basso costo, dovrebbero ringraziare doppiamente, perché l’impiego di queste persone è ormai e spesso l’unica alternativa alla chiusura o, nel migliore dei casi, al trasferimento in quei Paesi da cui provengono tutte queste persone.
L’Italia, che lo si voglia o no, è ormai meta (seppure spesso temporanea) di un numero sempre più elevato di migranti. Facciamocene una ragione. E le grandi metropoli europee si fermerebbero all’istante, senza la massa di autisti, camerieri, badanti, netturbini ecc. ecc. che le tengono letteralmente in piedi. Chissà se, il primo marzo, ce ne potremo rendere minimamente conto (almeno per un giorno) noi persone civili.
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