Una sola costante: il lavoro
I primi asili nido vengono edificati agli inizi degli anni ‘20 ad opera del regime fascista che istituisce l’ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), volta a promuovere la natalità del Bel Paese senza comprometterne la produttività. All’interno delle fabbriche o in prossimità di queste vengono creati degli asili nido, per bambini fino ai tre anni, provvisti persino di «camere d’allattamento»... Quando si dice che il lavoro gratifica e completa le nostre vite!
Oggi la situazione è ulteriormente cambiata, nel senso che questi spazi pubblici diventano sempre più inacessibili, perché rari e troppo costosi. Se alcune aziende dispongono al loro interno di «aree» destinate ai bambini (luoghi forse non adatti all’infanzia, non come una casa o un parco), non tutte le madri hanno la «fortuna» di lavorare in una struttura che possa accogliere i propri figli.
Allora via alle lunghe liste di attesa, alle pre-pre-iscrizioni per un posto all’asilo che deve essere conquistato prima della nascita del futuro ospite. In questa sorta di progressiva degenerazione socio-culturale una sola cosa resta certa: l’imperativo di lavorare.
Tutto si può corrompere e cambiare, tutto può essere fermato, anche il naturale istinto di procreazione, ma la produzione deve andare avanti. Quali sono le possibili soluzioni? Abbandonare l’idea di essere genitori, rinunciando a un’esperienza che diviene sempre più un lusso? Organizzare presidi fuori dai cancelli delle scuole, come in «C’eravamo tanti amati»? Fortunatamente, per noi, l’alternativa esiste…
«Comodità, convenienza e controllo», le parole d’ordine del progetto della signora Katiuscia Levi, abbracciato da un gruppo di donne di Fiumicino alle quali va il merito di aver trovato il modo di restare accanto ai propri figli e nello stesso tempo di lavorare. La soluzione, ora trapiantata in Italia, arriva dal Nord Europa e ha un nome tedesco: «tagesmutter» (mamme di giorno).
Si tratta di donne che accolgono in casa propria un ristretto numero di bambini (non più di sei-otto), accudendoli nelle ore in cui le rispettive madri sono impegnate al lavoro, una sorta di «case-famiglia» che all’estero hanno trovato un ampio consenso. In Italia siamo ancora agli inizi ma i numeri fanno ben sperare.
Nel Lazio, «scarabocchiando a casa di…», l’associazione culturale nata a Fiumicino nel 2006, oggi riunisce già sette «nidi», dislocati tra Fiumicino, Aranova e Bracciano. Il Governo sembra essersi interessato al progetto, per il quale stanzierà 10 milioni di euro. Nell’ottobre 2008, in Lazio si è dato il via a bandi di concorso e corsi di formazione di 250 ore per 220 «mamme di giorno»: donne di età compresa tra i 21 e i 50 anni, interessate ai servizi per l’infanzia, disoccupate o inoccupate. Tutte possono candidarsi, a patto di avere a disposizione una casa sufficientemente spaziosa (almeno 4 metri quadri per ogni bambino custodito), confortevole e soprattutto sicura (impianto elettrico e riscaldamento a norma, ricambio personalizzato per i piccoli ospiti e una dotazione di primo soccorso pediatrico).
Per quanto riguarda invece i costi, questi nidi comporteranno per i genitori una spesa compresa tra i 240 e i 480 euro mensili (esclusi i contributi che la Regione s’impegna a offrire), notevolmente inferiore alla retta di un asilo pubblico o privato, che si aggira infatti intorno alle 700 euro mensili. Un bel risparmio ma soprattutto una modalità differente di coniugare lavoro e famiglia o, quantomeno, reddito e affetti. Sicuramente un vantaggio per le mamme appese a interminabili liste d’attesa e per tutti quei bambini costretti a trascorrere delle ore chiusi all’interno di asettici luoghi di lavoro che forse, (purtroppo) nel loro futuro, avranno fin troppo modo di conoscere.
C’è da felicitarsi per la soluzione che certe donne hanno trovato. Eppure, come non chiedersi dove sono finiti i nonni, infaticabili dispensatori di saggezza e affetto, impagabili quanto impagati? I nonni, tagesmutter ante litteram, messaggeri unici di quella dimensione oggi quasi scomparsa, all’interno della quale la natura era ancora un valore e uno stile di vita.
Secondo Richard Louv, editorialista del «New York Times» e del «Christian Science Monitor», i bambini che giocano in un ambiente naturale tendono ad essere più «creativi e collaborativi» di quelli che giocano in un ambiente urbano, si ammalano meno, guariscono con maggiore facilità e sono meno soggetti a disturbi fisici, caratteriali e psicologici. Nel suo libro: «The Last Child in The Woods, Saving Our Children from Nature-Deficit Disorder », Louv parla di «zoopolis », società futura nella quale cadrà il divario tra la natura e l’elemento urbano e dove i bambini conosceranno e parteciperanno alla conservazione dell’ecosistema.
Società ideale? Sicuramente più vicina, almeno dal punto di vista « naturale », a quella in cui sono cresciuti i nostri nonni e nella quale, molto più che in sterili e fredde case di riposo, ci auguriamo di ritrovarli.
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