Niente di più falso! Ciò è proprio quanto sostenuto dall’agenzia britannica, che ha giudicato ingannevoli, o nella migliore delle ipotesi non dimostrate, tale affermazione ed altre presenti nella pubblicità.
Certamente questa vicenda non risolverà la problematica mondiale dell’olio di palma, ma quanto meno offre giustizia alle popolazioni del Borneo ed impedisce che si manipolino le scelte degli acquirenti tramite messaggi pubblicitari falsi.
Da anni in Malesia si perpetra un’inaccettabile distruzione della foresta primaria: il controllo di ampie zone di essa viene concesso ai rappresentanti dell’industria dell’olio di palma, i quali le radono al suolo per lasciare spazio alle piantagioni di palma. Il sistema è assolutamente analogo a quello adottato in Indonesia dall’industria cartiera (ed in misura minore anche da quella dell’olio di palma).
Le ricadute ambientali sono ovviamente ingenti e di varia natura. Si perde un grande polmone verde del pianeta, si attenta alla biodiversità naturale, spazzando via numerose specie di alberi, piante e animali che popolano quelle regioni. La geomorfologia del terreno si modifica, con conseguenze variabili, e si immette nell’atmosfera una gran quantità di anidride carbonica, immagazzinata in precedenza dagli alberi.
Si aggiunga a tutto ciò che le popolazioni indigene, che per secoli hanno abitato la foresta e sono sopravvissute in un rapporto di simbiosi con essa, improvvisamente si trovano ad essere private delle loro “case” e cacciate via.
Essi stanno cercando strenuamente di difendere la loro madre foresta e di lottare per il proprio diritto a sopravvivere, ma con scarso successo e grandi sofferenze. Coloro che abitano le terre date in concessione vengono, infatti, costretti con la forza ad evacuare e ai tentativi di resistenza seguono minacce di violenza, talvolta anche messe in atto. Nel 1987 più di cento Penan furono arrestati perché bloccarono le vie di comunicazione per cercare di impedire alle compagnie deforestatrici di entrare nelle loro terre.
“La scorsa settimana sono salito lì dove i lavoratori stavano disboscando per dir loro di smettere”, dichiara Pisang, un uomo Penan, “Loro mi hanno risposto: ‘Questo è un progetto del Governo. Se ti opponi, ti uccideremo”.
Gli uomini vengono minacciati di morte, le donne di stupro.
Survival, movimento internazionale che difende le popolazioni tribali, ha richiesto più volte alle autorità malesi di interrompere qualunque attività di deforestazione, di arrestare la diffusione delle piantagioni di palma da olio, nonché la costruzione di sbarramenti, in assenza del consenso delle popolazioni locali. Ma nonostante le lotte e le campagne condotte da anni, il governo del Sarawak continua a non riconoscere il diritto dei Penan alla loro terra.
Gli interessi economici in ballo solo troppo elevati. Non c’è spazio per la coscienza ecologica e la sensibilità umana, né per la responsabilità politica nei confronti del proprio popolo.
Per frenare lo scempio in atto e la crescita inarrestabile dell’industria dell’olio di palma, si dovrebbe in primo luogo smettere di consumare tale prodotto, in modo da arginarne la richiesta sul mercato. Purtroppo la cosa non è affatto semplice: l’olio di palma è ormai contenuto in una miriade di alimenti (soprattutto biscotti e dolciumi), nonché in vari detergenti.
L’acquirente che non voglia rendersi complice dei disastri ambientali e delle violenze commesse in Malesia dovrebbe pertanto poter discriminare tra l’olio “buono” e quello “cattivo”.
Purtroppo al giorno d’oggi RSPO certifica come sostenibile solo il 2% della produzione mondiale di olio di palma: una cifra angosciante dato il largo consumo che se ne fa.
Terra il Pianeta Prezioso
Inquinamento, deforestazione, mutamenti climatici, animali in via di estinzione... proteggere la terra non... Continua... |