«Ventiquattr’ore da incubo», racconta Chiara Campione a Ella Baffoni de “L’Unità”. «Ci stavamo dirigendo verso il “campo dei difensori del clima” impiantato da Greenpeace nella penisola di Kampar, in Sumatra. È un campo di attivisti che controllano le foreste e denunciano i tentativi delle multinazionali di deforestare per piantare palme da olio e alberi da carta».
Con lei c’erano il giornalista Raimondo Bultrini e una sua collega dell’Industan Times e altri due attivisti di Greenpeace. Prima di arrivare al campo, dove la Campione e Bultrini sarebbero rimasti per una settimana, i due si sono fermati a una stazione di polizia per registrarsi nell’area. «Avevamo i visti di lavoro o per la stampa, nessun problema».
I colleghi indonesiani, nel tragitto verso il campo, volevano mostrare loro un’area gigantesca, dove una multinazionale ha bruciato la foresta e drenato le torbiere. «Una devastazione, nei canali l’acqua scorreva velocemente». Mentre erano lì a fare foto e video, racconta Chiara Campione a “L’Unità”, si è fermata accanto a loro un’auto della polizia. «Avevano fermato un nostro tecnico proprio al campo verso cui eravamo diretti, ci hanno detto anche noi saremmo dovuti tornare indietro. Ma davanti ai nostri permessi appena firmati, se ne sono andati». Poi però gli agenti ci hanno ripensato e nel giro di mezz’ora sono tornati: «Li abbiamo dovuti seguire fino allo stesso posto di polizia che ci aveva appena vistato i permessi».
Una volta lì, è andato in scena «un teatrino» durato 20 ore. «Interrogatori lunghissimi, intimidatori, estenuanti. Domande ripetute decine di volte. A un certo punto – aggiunge Chiara Campione – hanno parlato di “ispezioni corporali”. Poi ci hanno chiesto di firmare un verbale fasullo, domande mai fatte, risposte mai date. L’abbiamo contestato, anche grazie a un avvocato indonesiano, perché era scritto in lingua Bahasa. Alla fine ci hanno riportato una versione più accettabile, speriamo». Poi, lei e Bultrini sono stati tradotti a Pekanbaru, all’ufficio immigrazione. «Lì, dopo ore di attesa, ci hanno comunicato che siamo stati espulsi per “attività illegali”. Ad aspettarci c’erano anche giornalisti locali».
«Ora siamo senza passaporto – ha raccontato Chiara Campione a Ella Baffoni – e domattina andremo a Jakarta in aereo. Lì ci dovrebbero essere i funzionari dell’ambasciata italiana. Durante gli interrogatori avevamo contattato anche loro, ma non sembra siano riusciti a risolvere qualcosa», malgrado l’assurdità delle accuse. «Quando ho chiesto il visto all’ambasciata di Indonesia a Roma – chiarisce la Campione – ho presentato una lettera di Greenpeace Indonesia che specificava esattamente dove sarei andata e a far cosa». Nessun mistero, quindi, sulla missione. Peraltro, interrotta dalla polizia: che non gradisce occhi indiscreti puntati sullo scempio delle foreste vergini.
«Al campo non siamo neanche riusciti ad arrivare», ha ribadito l’attivista di Greenpeace, che dichiara la propria preoccupazione per i compagni rimasti laggiù. «Il problema è che il campo è isolato, ci sono state proteste contro la deforestazione attuata dalla multinazionale April che vuol piantare distese di palme da olio, acacie e eucaliptus da cellulosa al posto delle foreste. E vogliono imbavagliare chi protesta». La settimana scorsa, aggiunge Chiara Campione, la polizia voleva smantellare il campo. «Dal villaggio di Teluc Meranti sono arrivati in 300 a fare un sit in: se portate via loro, portate via anche noi. E forse più che di noi stranieri, è proprio di questo che hanno paura».
Articolo tratto da www.libreidee.org
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Inquinamento, deforestazione, mutamenti climatici, animali in via di estinzione... proteggere la terra non... Continua... |