Così questa potrebbe essere stata non solo l’ultima corrida di José Tomàs, ma di tutta la Catalonia. Barcellona è infatti l’ultima provincia della regione ad accogliere ancora questi spettacoli. Una svolta sorprendente poiché tra gli anni ’20 e ’60 era la città in cui avevano luogo più corride di tutto il paese.
Nel 2009 il numero di corride è precipitato in tutto il territorio nazionale.
1.L’interesse degli spettatori spagnoli sta diminuendo: riguarda solo un quarto della popolazione.
2.Un pomeriggio di corrida prevede 6 ‘combattimenti’: ha come protagonisti 3 matadors e 6 tori. Si tratta quindi un evento caro, che con la crisi economica trova sempre meno organizzatori e spettatori.
3.La pressione degli attivisti per i diritti degli animali, che il 25 settembre hanno protestato davanti all’arena di Barcellona con cartelloni imbrattati di ‘sangue’. La ADDA (Asociaciòn Defensa Derechos Animal) dichiara che grazie alle corride “si continua ad associare la Spagna con la fiesta, il flamenco e poco altro. Si ignora la pluralità culturale del nostro paese…” (El confidencial del 2/10).
4.Vi sono inoltre i catalanisti, che - oltre ad imporre un’educazione scolastica principalmente in catalano - si vogliono distinguere dal resto della Spagna attraverso il divieto della corrida.
“In un periodo nel quale l’Europa sta diventando più grande e multiculturale, Barcellona sta diventando più piccola e più catalana”, commenta lo scrittore britannico Robert Elms, che ha vissuto nella città. Paco March, il responsabile del settore corride di La Vanguardia, uno dei maggiori quotidiani spagnoli, è d’accordo. “Mi fa infuriare il fatto che in nome della democrazia una minoranza di oppositori del toreo possano cancellare i diritti di un’altra minoranza, gli appassionati, ai quali piace quello che in questo paese è uno spettacolo legale che esprime profonde verità su vita e morte portate agli estremi”.
Da un lato dunque il regionalismo catalano preme per l’abolizione, dall’altro il nazionalismo panispanico la contrasta: è stato proprio l’orgoglio spagnolo ad aver sostenuto la resistenza alla pressione abolizionista dell’UE.
Nonostante ciò, 65 città spagnole dichiarano di ‘rifiutare’ la corrida. E non sono sole: vi si aggiungono 6 città latinoamericane, 4 portoghesi e 3 francesi. Questo perché le corride non hanno luogo solo in Spagna. La città della Francia meridionale di Alès ad esempio, sovvenziona 36.000 euro per due giorni di spettacoli. Ed è anche grazie a queste sovvenzioni che i bambini sotto ai 10 anni possono ammirare questi spettacoli gratuitamente. Un pomeriggio educativo in cui assistono alla morte di 6 tori e, se sono ‘fortunati’, anche di un uomo.
Un’altra volta ecologia e tradizione si scontrano.
Resta solo da domandarsi se l’accoltellamento di tori per il divertimento pubblico possa venir definita ‘cultura’.
25 Ottobre 2009 - Scrivi un commento
non si può annullare una tradizione secolare,uno spettacolo,cruento è vero,ma pur sempre tra un toro ed un uomo nel rispetto delle regole. E' vero che il toro soccombe sempre ma anche il torero rischia la sua vita; la storia delle corride è piena di toreri morti durante questi scontri spettacolo.
Gli animalisti, propio in questo caso non vanno ascoltati. La nostra alimentazione è basata sulla macellazione di animali di tutti i tipi che non hanno l'opportunità di morire dignitosamente in uno scontro frontale alla pari, ed allora perchè accanirsi contro questo spettacolo pieno di tradizione e di folclore?
Approfitto per chiedere, a chi riterrà leggere queste mie brevi considerazioni, notizie sulle città che ospitano questi spettacoli. Ho in anomo di visitare in settembre l'Andalusia e mi piacerebbe moltissimo assistere ad una corrida. ?