Evidentemente le sottolineature di Barroso riguardanti i cospicui fondi europei prestati All’Eire alla vigilia del voto (15 milioni per i disoccupati e 120 milioni per le banche irlandesi) sono state abbastanza convincenti, così come è stata convincente la paura del governo irlandese di perdere un posto in Commissione Europea, cosa che sarebbe accaduta se fosse rimasto in vigore il vecchio Trattato di Nizza.
L’altro paese che si è pronunciato in questi giorni, senza però ricorrere al voto popolare, è la Polonia di Lech Kaczynski. In questo caso devono aver portato consiglio le democratiche accuse di ostruzionismo all’avanzamento dell’iter costituzionale europeo piovute sulla testa di Kaczynski o forse le minacce di lasciare la Polonia fuori dal piano di investimento dell’Unione Europea.
L’ultimo “euroscettico” rimasto è Vaclav Klaus, il presidente della Repubblica Ceca, il cui Parlamento ha già approvato il Trattato che però, senza la firma presidenziale, non può considerarsi ratificato; inizialmente inamovibile, forse turbato dal cedimento del collega polacco, Klaus ha aperto una porta, richiedendo però la concessione della clausola opting out – ovvero la possibilità di non applicare determinate disposizioni – in materia di diritti fondamentali, al pari di quanto hanno fatto anche Polonia e Gran Bretagna (la quale ha sempre fatto un uso ampio e disinvolto di tale clausola).
Sembra quindi che il processo di ratifica della nuova costituzione europea stia giungendo faticosamente al termine, pur segnato da notevoli difficoltà – dal “periodo di riflessione” del 2006 alle bocciature di Francia, Olanda e Irlanda – che politicamente ne compromettono in partenza la credibilità. A dir la verità questa credibilità è sempre stata molto limitata, per motivi di ordine politico e sistemico piuttosto che tecnico e giuridico.
Infatti, se apparentemente il Trattato di Lisbona rafforza e snellisce l’agibilità in campo internazionale dell’Unione grazie al ripristino dell’Alto rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune, che prenderà il posto del Ministro degli Esteri e sarà anche Vicepresidente della Commissione, la realtà dei fatti è ben diversa e deve fare i conti sia con l’annoso asservimento alla NATO (il caso Jansa è solo un esempio in tal senso), sia con un progetto e una linea di politica estera quasi impalpabili, che difficilmente prenderanno consistenza con l’istituzione di una figura d’autorità in tal senso. Gli stessi scetticismi di alcuni paesi e il ricorso alla clausola opting out, testimoniano poi come l’adesione di molti non solo non sia entusiasta, ma sia condizionata in maniera decisiva dalla richiesta di non partecipare a fasi importanti dell’integrazione europea.
È poi stucchevole l’aspra critica che viene rivolta a chi rallenta il processo di integrazione, spesso non perché antieuropeista ma semplicemente perché turbato da grossi dubbi di natura politica a giuridica (non dimentichiamo, per esempio, che Polonia e Repubblica Ceca vengono da decenni di dittatura e solo da poco hanno vista ripristinata la propria sovranità nazionale; ci sta quindi che in un contesto del genere temano di perderla nuovamente). Si invoca la democrazia laddove su 27 Stati solo uno ha fatto ricorso al referendum popolare – massima e insindacabile espressione di democrazia – mentre tutti gli altri hanno sapientemente evitato di coinvolgere i cittadini demandando l’approvazione ai Parlamenti nazionali.
Il ricorso alla democrazia appare dunque sacrosanto solo quando può essere controllato ed esercitato da una classe politica eterodiretta. Al di là dei dettami giuridici del nuovo Trattato, le perplessità rimangono evidenti; per fugarle sarebbe stata certamente efficace una decisa presa di coscienza e messa in gioco della propria proposta politica da parte di Barroso e amici, magari attraverso un iter approvativo del testo costituzionale interamente affidato a referendum popolari, nel nome della democrazia da loro tanto decantata. Ma forse gli interessi che si celano fra le pagine del Trattato sono troppo importanti per metterli nelle mani di semplici e comuni cittadini.
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