In questo contesto, un contributo estremamente interessante è portato da una piccola pubblicazione curata da Editrice Le Balze a firma di Ugo Bardi e Giovanni Pancani. Entrambi membri di ASPO Italia (Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio), Bardi è docente di Chimica presso l’Università di Firenze. La loro opera si intitola Storia petrolifera del Bel Paese e la prefazione è a cura di Colin Campbell, presidente onorario di ASPO Internazionale.
Pur nella sua brevità, il libro affronta il discorso sul petrolio seguendo un filo logico chiaro e coerente. Si parte con qualche nozione tecnica su come si forma il petrolio, quali sono le sue diverse varietà, le modalità di lavorazione e altre informazioni utili anche per comprendere le peculiarità e i dettagli che troppo spesso vengono dati per scontati nell’analisi del mercato internazionale, delle politiche energetiche e delle opere infrastrutturali.
Dopo questo passaggio si entra subito nel vivo della discussione con l’esposizione della famosa Teoria di Hubbert. Questa teoria – che prende il nome da Marion King Hubbert, il geologo americano che per primo la formulò negli anni ’50 – si basa sull’osservazione dell’andamento dell’attività estrattiva e produttiva del greggio – anche se può essere applicata anche ad altri prodotti, come il carbone –, la quale segue uno schema preciso che si ripete in ogni situazione e che, se rappresentato graficamente, dà origine a una curva “a campana” che evidenzia come in un primo momento la produzione cresca rapidamente, per poi passare a una fase apicale centrale e infine a un lento declino.
Il picco che si raggiunge nella seconda fase è proprio il famigerato Peak Oil – il picco del petrolio – che segna il momento in cui la produzione comincia il suo cammino verso l’esaurimento totale. La teoria di Hubbert individua quindi quattro fasi della vita di un ciclo estrattivo: l’espansione rapida, l’inizio dell’esaurimento – la produzione continua la sua crescita ma rallentandone il ritmo –, il picco e l’inizio del declino, l’esaurimento.
Partendo da questa constatazione, Bardi e Pancani impiegano la seconda parte del libro ad analizzare il contesto non solo geologico ma anche commerciale, politico e sociale che ha condotto il mondo intero e l’Italia in particolare a questa situazione potenzialmente drammatica.
La parte centrale della trattazione è dedicata all’analisi del percorso storico dell’industria petrolifera nazionale e internazionale: in questo scenario la fanno da padrone le grandi compagni internazionali – le “sette sorelle”, come le chiamava Mattei – come Standard Oil, Royal Dutch-Shell, British Petroleum e altre, padrone dello scacchiere geopolitico nel gioco dell’accaparramento delle fonti energetiche.
Queste compagnie sono protagoniste anche del mercato italiano nella sua prima fase, quella che va dalle origini dell’industria del petrolio fino ai tempi del Fascismo, caratterizzata dalla nascita e dallo sviluppo embrionale – sempre sotto l’egida delle “sette sorelle” – della rete infrastrutturale italiana.
Il secondo periodo coincide quasi esattamente con il Ventennio e vede l’ingresso in campo di un nuovo giocatore, l’AGIP, nata nel 1926 nell’ambito di una politica di autodeterminazione energetica voluta da Mussolini, tentativo lungimirante ma fallimentare di affrancarsi dal predominio dei privati.
Dopo questa fase arriva lo spartiacque della Seconda Guerra mondiale, avvenimento decisivo non solo in ambito militare e politico ma anche dal punto di vista della produzione, in quanto determina un’accelerazione decisiva della domanda energetica che – fatte salve alcune contingenze specifiche – non rallenterà più fino ai giorni nostri.
Il dopoguerra inaugura il terzo periodo, che in Italia è dominato da un nuovo protagonista: l’ENI e il suo presidente Enrico Mattei. Prima come presidente dell’AGIP e poi, dal 1953, a capo dell’Ente Nazionale Idrocarburi, Mattei tenta in tutti i modi di perseguire l’ambizioso e fondamentale obiettivo di garantire un futuro di autonomia energetica all’Italia.
La sua coraggiosa iniziativa terminerà però tragicamente nel 1962, in occasione del disastro aereo di Bascapè, solo recentemente riconosciuto, dopo anni di battaglie legali, come un vero e proprio attentato scientemente studiato per eliminare un personaggio scomodo.
Il destino dell’ENI e dell’autonomia energetica italiana cambia nuovamente, conoscendo prima un rapido declino sotto la guida di Cefis poi un successo aziendale grazie alla privatizzazione del 1992, senza però mai tornare a recitare un ruolo da protagonista come ai tempi di Mattei.
Sullo scenario internazionale, un altro momento cruciale è quello dello shock petrolifero del 1973, forse la prima occasione in cui tutto il mondo industrializzato si trovò a fare i conti con un sistema produttivo e un mercato energetico che, protetto dalla rassicurante visione della società del benessere e dello sviluppo, stava lentamente degenerando.
Le stime – proposte per la prima volta nel 1997 dal vice-segretario di Stato americano Strobe Talbott – parlano di un quantitativo pari a 200 miliardi di barili, sovrastimando esageratamente la reale potenzialità dell’area, compresa fra i 30 e i 50 miliardi di barili. Questo quantitativo peraltro è ben lontano dal rappresentare una soluzione definitiva poiché, al ritmo di consumo attuale, potrebbe soddisfare la domanda energetica mondiale per soli due anni.
Che fare, quindi? Le prospettive per l’Italia e per il resto del mondo sono poco incoraggianti. Ciononostante, Bardi e Pancani non si lasciano andare a radicali considerazioni catastrofiste o ideologicamente orientate, né glissano su quello che è un problema reale e urgente.
Prendono atto del fatto che la transizione energetica non può prescindere dall’utilizzo delle ultime scorte di petrolio esistenti, che ovviamente dovranno gradualmente essere sostituite con fonti energetiche alternative, senza strappi ma senza indugi.
La soluzione può quindi essere un misto di LWR – la fissione nucleare classica tramite reattori ad acqua leggera, che pure deve ancora dimostrare la sua sicurezza e soprattutto la sua sostenibilità futura – e NFER, ovvero Nuove Fonti di Energia Rinnovabile, accompagnate alle già collaudate fonti idroelettriche e geotermiche, tenendo però presente che vanno sviluppati in fretta sistemi che consentano la produzione, lo stoccaggio e l’utilizzo su larga scala di queste soluzioni.Infine, ultimo ma non per importanza, è fondamentale un mutamento di mentalità che renda tutti coscienti del fatto che l’energia è un bene prezioso che, soprattutto in un momento critico come quello che stiamo vivendo, va amministrato con saggezza e oculatezza.
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