Con queste parole il giornalista francese Jean-Marc Sylvestre ha aperto un colloquio internazionale: “Fare un bilancio dei mali dei quali soffre il nostro mare e immaginare le possibili soluzioni […] tale è il duplice obiettivo di questa quinta edizione del Forum di Parigi”.
Il forum è un’occasione di riflessione sullo spazio mediterraneo. Dal 27 al 29 marzo ha avuto luogo all’Unesco il suo quinto incontro, durante il quale politici, ricercatori e rappresentanti di imprese hanno tenuto conferenze e laboratori. L’imperativo che li ha riuniti è stato “salvare il Mediterraneo”.
Per quale motivo occuparsi proprio di questa zona?
“Il Mediterraneo è uno spazio particolarmente esposto, perché vi si concentrano i fenomeni che agiscono a scala mondiale”, spiega Henri-Luc Thibault, direttore del “Piano Blu”, organismo dell’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) incaricato di studiare la zona mediterranea.
“La situazione richiede delle risposte urgenti”, avverte Thibault. Il Mediterraneo, infatti, fa parte dei cosiddetti punti caldi del pianeta: luoghi dove l’innalzamento di temperature sarà maggiore che altrove e dove le precipitazioni diminuiranno fortemente.
Ad essere in aumento, oltre alla popolazione locale, è anche il via vai di turisti. Questi ultimi, attualmente, sono 246 milioni l’anno, ma nel 2025 saranno 637 milioni (Le Monde del 27 marzo).
Abitanti locali e turisti si concentrano nelle città e sul litorale, causando così la cementificazione del 48% della costa. “La degradazione dei suoli […] è una delle principali sfide dei prossimi anni”, afferma Paolo Lombardi, direttore dell’ufficio mediterraneo del WWF.
Un altro problema legato alla crescente popolazione è la mancanza d’acqua dolce. Se oggi siamo “poveri d’acqua” (meno di 1.000m3 per abitante all’anno), in futuro lo saremo ancora di più: “Nel 2025, a sud e a est del bacino mediterraneo, 63 milioni di persone avranno a disposizione meno di 500m3 d’acqua all’anno, soglia di penuria”. Con queste parole il giornalista Loic Chauveau presenta il laboratorio sull’acqua dolce, parte essenziale dell’incontro di Parigi.
“Flutti blu, acque salate” è invece il nome della conferenza sull’acqua marina. Questa informa che “sono rare le città a sud e a est del bacino mediterraneo ad essere dotate di una stazione di depurazione. E quelle del nord non seguono sempre le norme.”
Laurence Caramel, la collaboratrice di LeMonde che ha animato questo laboratorio, prende proprio l’Italia come esempio: “Da Napoli al Cairo, le discariche a cielo aperto sono ancora molto numerose”.
Il secondo obiettivo consiste nella proposta di soluzioni:
1.miglioramento dell’amministrazione di acqua, terreni e trasporti
2.protezione di spazi naturali
3.sviluppo di energie rinnovabili
Queste sono soluzioni a dei problemi non solo ambientali: anche i governi “cominciano a rendersi conto che lo stato delle risorse naturali influenza le loro prospettive economiche,” spiega Lombardi, “ma ciò non si traduce in azioni”.
Quel che impedisce le operazioni a grande scala, è spesso la mancanza di coordinazione. I 22 paesi costieri non collaborano, infatti, anche perché appartengono a spazi geopolitici diversi: l’Unione Europea, la Lega Araba, l’Unione Africana…
Queste leghe uniscono, ma allo stesso tempo separano: separano 22 Paesi che circondano un solo mare, e che quindi condividono le sue ricchezze, ma anche i suoi problemi. Per dirla con le parole del professor Predrag Matvejevic: “L’Unione Europea si compie senza tener conto del ritardo nella modernizzazione del Mediterraneo: nasce un’Europa separata dalla culla d’Europa.”
5 Aprile 2009 - Scrivi un commento