La memoria dei pesci per non dimenticare il futuro

Uno studio recente dimostra che i pesci ricordano fino a cinque mesi. Le gabbie per l’allevamento potrebbero non essere più necessarie. Questa nuova prospettiva di allevamento sostenibile potrebbe favorire il ripopolamento degli oceani.

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di Elisabeth Zoja


Il mito dei pesci ottusi è stato finalmente sfatato. Una ricerca dell’Institute of Technology Technion di Haifa ha dimostrato che la memoria dei pesci dura almeno cinque mesi: gli scienziati israeliani hanno insegnato a un gruppo di pesci ad associare un determinato suono al cibo. Dopo mesi trascorsi in libertà, al suono conosciuto i pesci sono accorsi al distributore di cibo. Basterà quindi allenare i pesci a riconoscere un determinato suono, per poi farli tornare indietro, quando saranno pronti per essere immessi sul mercato.

Si potrebbe introdurre una modalità di allevamento senza gabbie che gioverebbe sia all’ambiente che agli allevatori. Se i pesci di allevamento fossero liberi, infatti, espellerebbero meno azoto e di conseguenza inquinerebbero meno. Questa modalità di allevamento sarebbe anche più economica, renderebbe superfluo sia l'acquisto delle gabbie, che il lavoro delle persone che le devono monitorare.


Gabbie di allevamento in Grecia
I pesci sarebbero più economici da gestire anche perché si nutrirebbero indipendentemente. Il nutrimento autonomo, oltre ad essere migliore, li costringerebbe a muoversi, a percorrere distanze inesistenti nelle gabbie di allevamento. I pesci quindi vivrebbero meglio e sarebbero più sani, anche da mangiare. Se, di conseguenza, consumassimo quasi esclusivamente pesce di allevamento, potremmo alleviare un altro grande problema: l’impoverimento degli oceani.

Negli ultimi trenta anni, infatti, il consumo mondiale di pesce è raddoppiato, e ha causato la scomparsa del 90% dei predatori (tonno, spada, merluzzo…). I motivi principali del crescente consumo sono l’aumento della popolazione e le nuove tecniche di pesca. La rete a strascico, ad esempio, intrappola tutti gli esseri viventi che nuotano lentamente e nella maggior parte dei casi li uccide. La cattura di questi pesci inutilizzabili costituisce almeno il 20% del pescato (Peter Alsop, Good Magazine).

Anche barche con lenze lunghissime e migliaia di ami intrappolano spesso esseri ‘inutili’ come tartarughe e uccelli. Il sonar, una tecnica che impiega la propagazione del suono per individuare oggetti o esseri viventi, consente ai pescatori di catturare interi banchi in una volta.


Il sangue dei pesci tinge di rosso il mare. Buon appetito...
Se si continua a pescare così - uno studio pubblicato su Science - entro quarant’anni la pesca commerciale arriverà al collasso. La maggior parte dei pescatori sono passati a questi metodi per ottenere il massimo rendimento da una fonte sempre più scarsa. L’impoverimento degli oceani, quindi, non è solo un problema ambientale: mette a rischio più di un quinto della popolazione umana mondiale per la quale il mare è la fonte principale di cibo o di reddito (Peter Alsop, Good Magazine).

La scoperta della memoria dei pesci potrebbe incoraggiare l’utilizzo di allevamenti sostenibili e di progetti di ripopolamento.

Rinunciando a una parte del pescato oggi, si potrebbe sostenere la biodiversità marina e permettere alle generazione future di continuare a pescare con moderazione.

12 Gennaio 2009 - Scrivi un commento
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