Sequestrato il gassificatore di Malagrotta

Il Gip di Roma ordina di porre i sigilli all’impianto perché privo della “Certificazione di Prevenzione Incendi” e di altri requisiti di legge. Ancora una volta, quindi, la sua inaugurazione è rinviata. Ma restano molte perplessità sulla sua sicurezza e sui suoi possibili rischi per la salute dei cittadini.

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di Virginia Greco


Roma – I carabinieri del NOE, Nucleo Operativo Ecologico, stamani hanno posto sotto sequestro preventivo il gassificatore di Malagrotta, secondo l’ordine dato dalla Procura di Roma. L’impianto, che impiega la tecnologia del CDR (Combustibile da rifiuti), è destinato a bruciare rifiuti urbani al fine di ridurre il volume degli stessi e a produrre energia elettrica.

Esso era al momento attivo per procedimenti di collaudo, ma l’inaugurazione ufficiale (già più volte rinviata), era fissata per il 13 novembre p.v. Il funzionamento a pieno regime si sarebbe raggiunto, invece, nel gennaio 2009.

Il varo, quindi, non avrà luogo neppure questa volta. Nelle ultime settimane il NOA aveva effettuato dei sopralluoghi nell’area e rilevato che l’impianto non soddisfa vari requisiti di legge; in particolare esso è privo della indispensabile “Certificazione di Prevenzione Incendi”. Riferite le inadempienze al Procuratore della Repubblica e ai titolari del procedimento penale, questi hanno richiesto al Gip di Roma l’immediato sequestro della struttura.

Il pericolo risulterebbe legato all’ “attività svolta, ai materiali utilizzati per la combustione e alla presenza nelle immediate vicinanze di siti pericolosi, in particolare una raffineria e un deposito di Gpl” – secondo quanto si legge nella stessa dichiarazione del Gip – “(…)trattandosi di esercizio d’impianto in totale carenza dei requisiti di legge”. L’accesso al gassificatore e l’uso dell’area sono al momento concessi solo al fine di effettuare i lavori necessari alla messa in sicurezza dell’impianto. Solo quando saranno recuperate le inadempienza di legge, sarà possibile far richiesta di nulla osta per la messa in opera ai Vigili del Fuoco e alle autorità competenti.

Il gassificatore di Malagrotta, in verità, è da lungo tempo argomento di dibattito. La struttura, fortemente voluta dal presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, è da tempo osteggiata da comitati locali e, per la sua ubicazione, anche da alcuni settori dell’amministrazione comunale. Ciò che viene chiesto è una valutazione accurata dei rischi legati all’attivazione dell’impianto, sia per quanto concerne l’eventualità che si verifichino incidenti, sia in termini di impatto ambientale.

Anche il WWF ha sottolineato la necessità che l’ambiente sia monitorato (acqua, aria e terreno) prima della messa in funzione, in modo che si possa fare un confronto con i valori che saranno rilevati successivamente, per stabilire se il gassificatore è ecologicamente sostenibile o no. Ma nonostante le richieste e le rimostranze provenienti da più parti, molto poco è stato fatto in tal senso.

Nel frattempo, Francesco Rando, Amministratore Unico della società (E. Giovi S.r.l.) proprietaria e responsabile della gestione della discarica di Malagrotta, accusato di aver permesso lo smaltimento di rifiuti pericolosi, è stato recentemente condannato a un anno di carcere, al pagamento di una multa di migliaia di euro e alla restituzione delle spese processuali. Nello specifico, Rando avrebbe consentito, senza alcuna autorizzazione, lo smaltimento a Malagrotta di “rifiuti pericolosi derivanti dal trattamento chimico-fisico del percolato e dei fanghi conferiti dall’ACEA nell’ottobre 2004”; inoltre, nel maggio 2005, avrebbe accolto dei “rifiuti speciali”, non accettabili in una discarica finalizzata allo smaltimento di rifiuti solidi urbani.

Fra mala-gestione e illeciti, ciò che sta emergendo attraverso gli impianti di Malagrotta è uno dei tanti aspetti della cattiva amministrazione dello smaltimento dei rifiuti in Italia. A Roma, solo il 22% dei rifiuti solidi urbani (contro la quota minima di 35% stabilita dalla normativa nazionale) viene raccolto in maniera differenziata e avviata al riciclo, mentre il restante 88% finisce in discarica a Malagrotta. Situazioni analoghe (e anche peggiori) si riscontrano in tantissime altre città italiane.

Gli impianti, quando costruiti, spesso non vengono posti in sicurezza, non rispettano tutte le norme di legge e non adempiono alle richieste di indagini preliminari e monitoraggi durante l’attività, da effettuare al fine di valutare l’impronta ecologica e gli eventuali rischi per la salute dei cittadini.

Almeno in questo caso le autorità giudiziarie sono riuscite ad intervenire per tempo. Con la speranza che si ottengano i risultati sperati.

11 Novembre 2008 - Scrivi un commento
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