Vivere Ecologico

Piccola favola metropolitana. "Zio San Francesco" a Milano

Chi di noi non ha un aneddoto gustoso che veda protagonista qualcuno dei propri parenti? Nel bene e nel male, quasi tutti hanno un clan familiare variegato e spesso viene da sorridere pensando a qualche caratteristica particolarmente marcata di zii e zie, nonni, nipoti, cugini, ecc. Il chiacchierone, l’apprensiva, l’eccentrico, l’artista, il tuttofare e molti altri personaggi fanno parte della propria mitologia familiare e la tradizione orale trasmette rapidamente a tutta la cerchia di sangue comune gli episodi più esilaranti o avvincenti di ciascuno.

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di Laura Bonaventura


Mio zio Francesco è una calamita per gli animali. Con gli animali chiacchiera, gioca e passa il tempo come fossero persone, anzi amici di vecchia data, mentre loro ricambiano cercandolo e standogli vicino senza il minimo timore. Chissà se al momento di scegliere il suo nome i miei nonni non siano stati ispirati dal Santo al quale tutti vogliono bene - perfino quelli che non ci credono -, quello che di incontri e chiacchierate con gli animali, anche con i lupi più spaventosi, se ne intendeva. Comunque sia, fin da bambino zio Francesco giocava con cani enormi come fossero cuccioli e si dedicava agli animali della campagna prodigandosi in mille attenzioni. Crescendo, cani e gatti abbandonati, perduti, affamati, pesci rossi del Luna Park, pappagalli e ogni sorta di bestiola più o meno domestica ha trovato vitto e alloggio in casa di mio zio.

Oggi zio Francesco vive a Milano, è in pensione e la mattina va a passeggiare al parco. Qualche giorno fa, durante la solita camminata, la sua attenzione è stata richiamata da un cinguettio insistente, quasi lamentoso. Cercando da dove provenisse, si è accorto che un uccellino un po’ malandato era a terra, a fianco del sentiero. Mio zio l’ha raccolto, l’ha carezzato e l’ha portato a casa con sé. Così l’uccellino ha mangiato, bevuto, è stato coccolato un po’ e ha fatto amicizia con mio zio. Poi però, vedendo che era sano e non avrebbe dovuto avere problemi a cavarsela da solo, zio Francesco l’ha riportato al parco. L’ha salutato ed è tornato a casa.

Quel pomeriggio per mio zio era interminabile. Passavano i minuti, le ore, ma lui continuava a pensare a quel passerotto. “Che starà facendo? Ce la farà, con tutti i gatti in circolazione? Penserà che l’ho abbandonato?” si chiedeva. Zia Anna, abituata a certe crisi di coscienza e agli slanci di generosità del marito, cercava di tranquillizzarlo: “Stai tranquillo, Francesco, era sano come un pesce. Dovrà farsi le penne, come tutti. Era solo molto giovane”. Ma le sue parole non arrivavano a destinazione.

Era ormai il tramonto quando zio Francesco ha preso la giacca e si è avviato verso la porta. “Vado al parco” ha detto, salutando mia zia. Ormai era deciso. I cancelli erano ancora aperti e lui si è incamminato nella stessa direzione della mattina, percorrendo i sentieri fino al punto dove aveva lasciato il paserotto. “Cip cip cip” si è sentito chiamare. Si è voltato e l’uccellino era ancora lì. “Andiamo a casa”, gli ha detto zio Francesco, e quello gli è volato sulla spalla. Amici.

Insieme si sono avviati così, chiacchierando, per le grigie strade di Milano, mentre il sole calava dietro i palazzi, offuscato dallo smog delle auto.

Voi forse non ci crederete, ma vi assicuro che è andata proprio così.

15 Aprile 2008 - Scrivi un commento
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