Progetti tecnici per cattura e stoccaggio del biossido di carbonio sono sui tavoli di scienziati e politici di tutto il mondo, ancora incerti su efficacia e convenienza del sistema, ma l’accelerazione del governo australiano è significativa. Da anni sono stati avanzati progetti su larga scala che prendono in considerazione i requisiti per lo stoccaggio geologico, […] ora i proponenti sono ansiosi di lavorare sul campo per cominciare una valutazione dettagliata delle aree per lo stoccaggio”, ha spiegato che il ministro, che ha aggiunto come la legge costituirebbe “un’importante opportunità per affrontare il cambiamento climatico, in maniera tale da non penalizzare i livelli di occupazione australiani e la prosperità economica”. Infatti lo sviluppo di questi progetti comporta investimenti “di centinaia di milioni, se non miliardi, di dollari” per la neonata industria dei sistemi Ccs.
Sono le stesse parole del ministro a svelare come la pressione delle corporations energetiche, debolmente illuminate sulla via della lotta al riscaldamento globale, abbia contato nell’accelerazione verso lo stoccaggio sotto il fondale marino. Alle compagnie, così come al cittadino-elettore, è difficile chiedere sacrifici. Ma altrove, un analogo sistema di stoccaggio nell’oceano delle emissioni è al centro di un dibattito complesso e del tutto aperto. In questi giorni, si sono scontrati Greenpeace e Wallace Broecker, pluripremiato scienziato dell’ambiente, noto per le sue scoperte, ma anche per avere sostenuto fin dai tardi anni settanta i rischi delle emissioni incontrollate di CO2. Questa volta, però, il professore ha apertamente sfidato Greenepace sulle pagine del quotidiano inglese Guardian.
Broecker ha chiesto a Greenpeace di rilassare la propria posizione sullo stoccaggio oceanico, acconsentendo a una sperimentazione sul campo, con l’iniezione di qualche tonnellata di CO2 negli abissi del Pacifico. In sintesi, dopo la cattura delle emissioni nocive alla fonte (come le centrali che producono energia dal carbone), la tecnica prevede di pompare nell’oceano la CO2 liquefatta a una profondità superiore a 3.500 metri, limite oltre il quale la sua densità diventa superiore a quella dell’acqua marina. Questo dovrebbe creare delle conformazioni stabili sul fondale, con un rilascio trascurabile e misurabile comunque nell’arco di molti secoli.
La microfauna del fondale in larga parte morrebbe, ammette lo scienziato, ma sarebbero danni infinitesimali a paragone con le devastazioni della pesca industriale odierna, mentre i pesci più grandi non dovrebbero risentire di nulla. L’esperimento consentirebbe di convalidare queste ipotesi, di calcolare i costi della tecnica e andrebbe condotto prima che qualcuno, “una volta stabilità la convenienza del procedimento, cominci a sversare CO2 in mare senza che sia stata fatta alcuna valutazione preventiva”.A Broecker ha risposto lo scienziato Bill Hare, collaboratore di Greenpeace. Nel merito Hare ha contestato diverse idee del collega, dai tempi del rilascio della CO2 dal fondale, alla trascurabilità dell’impatto per la vita marina, fino all’attendibilità di un esperimento da poche tonnellate, quando i quantitativi reali di CO2 immessa nell’oceano sarebbero incalcolabilmente superiori. Ma soprattutto, è stata la critica di Hare, simili esperimenti costituirebbero “una pericolosa distrazione dalle reali soluzioni. L’unica alternativa credibile sarebbe quella di tagliare drasticamente le emissioni all’origine, attraverso le rinnovabili, l’efficienza energetica e una riduzione della deforestazione”.
Il sistema di cui discutono i due scienziati è differente dal punto di vista tecnico da quello considerato dal progetto di legge australiano: quest’ultimo prevede lo stoccaggio all’interno di conformazioni rocciose sul fondale marino (già parzialmente sperimentato con successo, per esempio in Norvegia), mentre sul Guardian si discute di un sistema che pompa la CO2 a grande profondità nell’oceano.
Ma al di là di come ci si divida sulle tesi – per niente equivalenti – di Hare e Broecker, e di quale strada suggeriscano pareri e verifiche di chi è qualificato a parlare, in qualche parte di un pianeta senza coordinamento c’è sempre qualcuno disposto a scommettere al buio sulle proprie soluzioni, e scommettere denaro. Allo stato dell’arte i sistemi Ccs sono poco più di una suggestione avveniristica che solletica soprattutto le compagnie energetiche. Ma le notizie dall’Australia ricordano come l’economia, e al seguito la politica, corrano spesso più veloci della scienza.
23 Giugno 2008 - Scrivi un commento