La notizia, riportata dalla LAV, e quell’espressione “dell’orrore” inevitabilmente mi hanno ricordato uno dei titoli giornalistici più ricorrenti nelle ultime settimane: “la clinica degli orrori”, riferito alla clinica S. Rita di Milano di cui 18 fra primari, ex primari e medici sono ora indagati per truffa, omicidio volontario e lesioni personali gravissime.
Senza voler cercare di stabilire quale dei due orrori sia il peggiore, né quanti cani valga la vita di un uomo, le due vicende sono accomunate da un avvilente dato di fatto: quelle strutture che dovrebbero salvare, curare e tutelare chi ospitano diventano luoghi di ulteriore sofferenza e, addirittura, di morte. Sotterfugi e crudeltà derivanti da una sconcertante sottovalutazione della vita, degli animali come degli uomini.
Ma medici e veterinari non dovrebbero salvarla, la vita?
Fino a qualche mese fa nel canile di Bernalda vivevano 220 cani, alla data del sequestro soltanto 134 (gravemente malati e denutriti). Che fine hanno fatto tutti gli altri? Morti. La costrizione in spazi troppo ristretti, la malnutrizione e le pessime condizioni igienico-sanitarie li hanno uccisi.
Su disposizione del Sostituto Procuratore di Matera, circa una settimana fa il NIRDA (Nucleo Investigativo per i Reati in Danno agli Animali) del Corpo forestale ha sequestrato l’angusta struttura. Adesso il veterinario che gestiva il canile ed altri quattro indagati dovranno rispondere dei reati di maltrattamento di animali, detenzione incompatibile con la loro natura, omissione di atti d’ufficio e peculato. Intanto l’Autorità Giudiziaria sta ancora verificando responsabilità omissive o dirette fra i vertici dell’amministrazione comunale e dell’Azienda USL.
Carla Campanaro dell’Ufficio Legale della LAV ha dichiarato “I casi di canili lager sono sempre più numerosi, come anche le segnalazioni di maltrattamenti di animali, è ormai indispensabile l’ampliamento delle risorse a disposizione del NIRDA”.
Negli stessi giorni in cui il canile di Bernalda è stato sequestrato, si è aperto il processo su quello di Colle Arpea (Rieti).
Il gestore della struttura, un suo ex collaboratore ed uno dei veterinari sono accusati di maltrattamento ed uccisione di animali. Nel 2005, anno a cui si riferiscono gli episodi, il Corpo Forestale ha infatti trovato sepolti all’interno dell’area del canile decine di cani.
“Siamo impegnati su molteplici fronti affinché le responsabilità penali che risultano cristallizzate dagli elementi dell’accusa siano affermate e soprattutto affinché si giunga, nel più breve tempo possibile, anche al sequestro del canile e dei cani presenti, per impedire il protrarsi dei maltrattamenti”, dichiara Andrea Cristofori responsabile LAV del settore canili.
Forse i cani della prigione di Bernalda e di quella di Colle Arpea riusciranno a guarire e si salveranno. Ma tutti gli altri? Quello dei canili lager non è un fenomeno circoscritto ma un disumano business generato dall’abbandono degli animali (che durante il mesi estivi registra numeri elevatissimi) e quindi dall’incremento del randagismo. Ogni anno vengono abbandonati circa 135 mila animali: pochissimi riescono a trovare una nuova casa, moltissimi muoiono poco dopo l’abbandono (investiti sulle autostrade, per fame e sete o per avvelenamento), la maggior parte va incontro ad una morte più lenta e dolorosa tra le sofferenze dei “canili dell’orrore”.
Sulla base delle sovvenzioni pubbliche per il mantenimento dei cani in canili e rifugi, la LAV ha stimato che intorno a queste strutture si è sviluppato un giro d’affari di due milioni di euro all’anno ogni 1000 cani accalappiati. Questo denaro, tuttavia, non viene sempre investito in adeguate cure per gli animali: lo testimonia il fatto che nel 2007 i controlli operati dai Carabinieri del Nucleo Tutela Ambiente su 283 canili nazionali hanno rivelato una percentuale di illegalità del 13%.
Canili sovraffollati, strutture fatiscenti, carenze igienico-sanitarie, scarsità di cibo e acqua, elevata mortalità dei cani, basso numero di adozioni, maltrattamenti, decessi non denunciati, reati contro l’ambiente e la pubblica amministrazione: questi gli illeciti più frequenti emersi dai sopralluoghi effettuati dalle Forze dell’Ordine e dalla LAV.
Eppure questo “sporco affare” potrebbe essere frenato limitando il fenomeno del randagismo attraverso la promozione di campagne di adozioni ed il ricorso alla sterilizzazione che, a differenza di alcuni pregiudizi, non danneggia l’animale ma anzi gli garantisce un’ottima salute psico-fisica ed un notevole aumento dell’aspettativa di vita.
19 Giugno 2008 - Scrivi un commento
Dal punto di vista dei proprietari la situazione non è per niente cambiata; è questo un punto chiave su cui occorre riflettere bene. La popolazione dei proprietari di animali, e nella fattispecie, di proprietari di cani, risulta composta da un insieme molto eterogeneo di persone. Altrettanto si può dire per le motivazioni che spingono una persona a diventare proprietario di un animale. Avremo così una parte dei proprietari che sono diventati proprietari perché amano sinceramente gli animali e quindi cercano di fare tutto quello che possono per garantire a questi animali una vita decente; sono questi proprietari che, nel momento in cui è stato fatto obbligo di iscrivere i cani all'anagrafe canina e di far tatuare o inserire il microchip al proprio animale, si sono mossi con notevole solerzia per adempiere a questo compito. A questa prima parte di proprietari fanno seguito coloro i quali dell'anagrafe canina non sanno ancora niente, perché non è stata fatta una sufficiente campagna di informazione capillare. Seguono poi coloro i quali, pur sapendo dell’anagrafe canina, omettono per vari motivi di iscrivere i loro cani, e sicuramente alcuni di questi lo fanno perché sanno che potranno trovarsi nella situazione di sbarazzarsi del loro animale.
Quindi, a mio avviso, il primo passo da fare verso la soluzione del problema del randagismo è quello di "costringere" queste ultime due categorie di proprietari ad iscrivere i loro cani all'anagrafe canina. Sebbene l'idea di attuare la sterilizzazione possa sembrare risolutiva, bisogna tenere presente che anche qui i primi a soggiacere alla sterilizzazione saranno quei proprietari che in realtà della sterilizzazione ne hanno meno bisogno, in quanto sono quelli che più difficilmente perdono il proprio cane, sono quelli che nel momento in cui il cane ha dei cuccioli, fanno di tutto per prodigarsi nel trovare dei nuovi padroni che siano idonei, e quindi nel concreto questa categoria di proprietari non andrà mai a fare incrementare il numero di randagi presenti nel territorio, anche quando il loro cane dovesse avere, incidentalmente, una cucciolata. Inoltre, questa categoria di proprietari è proprio quella che fa più attenzione alle femmine durante il periodo del calore e che quando queste femmine sono feconde cerca in tutti i modi di evitare gli accoppiamenti indesiderati. Questa categoria di proprietari è quella che risponderà prontamente all'appello nel momento in cui si dovesse rendere obbligatoria la sterilizzazione, ma nello stesso tempo sarà la categoria la cui obbedienza pronta andrà ad influire di meno sulla presenza dei randagi nel territorio.
Quelle che devono preoccupare sono le altre due categorie di proprietari, cioè quelli che non sono informati e quelli che, per vari motivi, non fanno entrare i loro animali nel sistema dell'anagrafe canina.
Per quanto riguarda la categoria dei "disinformati", sarà sufficiente fare una buona campagna di informazione attraverso la radio, la televisione, i siti internet dei comuni.
L'ultima categoria, la più ostica, andrà colpita in 2 modi:
• In modo trasversale, chiedendo quindi la collaborazione dei veterinari, dei commercianti, degli enti che rilasciano pedigree, in sostanza di tutti coloro che vengono, per ragioni professionali, in contatto con gli animali di proprietà. Se otterremo la collaborazione di queste categorie professionali, nel segnalare ai comuni tutti i nuovi proprietari, facendo così entrare nel sistema dell'anagrafe canina anche chi non volesse farlo, avremmo posto le basi per la risoluzione del problema del randagismo.
• Con la campagna di informazione. Si tratta ovviamente di una faccenda di coscienza; in questo caso coscienza cinofila. Non abbiamo bisogno di infonderla a chi già la possiede, ma in chi invece dimostra di non possederla. Questi ultimi sono più sensibili all'obbligo, alla minaccia, quindi per andare colpire coloro i quali, volontariamente si sottraggono all'anagrafe canina, bisognerà rendere evidente che le sanzioni esistenti nella omessa iscrizione e quanto segue, verranno applicate inesorabilmente. In altre parole, per quanto riguarda questi proprietari, l'unico sistema di far funzionare l'anagrafe canina è quello di far funzionare il sistema sanzionatorio e ottenere la collaborazione nella segnalazione dei proprietari alle categorie professionali di cui sopra.
Forse quanto ho scritto può sembrare eccessivo, soprattutto per quanto riguarda la collaborazione di veterinari, commercianti, e degli enti che rilasciano pedigree, ma la situazione è talmente grave che servono subito rimedi urgenti e la collaborazione da parte di tutti. Inoltre, tutto quanto suddetto si può realizzare in breve tempo, con oneri molto bassi. La costruzione di nuovi canili ed accalappiamento dei randagi presenti nel territorio non risolverà la situazione. Come ampiamente dimostrato nelle maggiori città americane, neanche l'uccisione dei cani randagi porterà ad un significativo beneficio dell'andare del tempo, basta consultare le documentazioni delle società protezioniste americane per vedere che, dove si pratica l'eutanasia in massa dei cani randagi, senza nessun'altra misura atta a diminuire randagismo, non si hanno risultati apprezzabili. L'unico sistema è intervenire sui proprietari, facendo funzionare in maniera idonea le sanzioni.