Due (Puglia e Molise) non l’hanno ancora fatto, mentre in Abruzzo è in corso di approvazione. Di altre 3 regioni (Calabria, Marche, Veneto) e la provincia Autonoma di Bolzano non si ha notizia. E anche laddove il piano esiste, le azioni che lo dovrebbero seguire, come la mappatura dei manufatti contaminati, non arrivano e si rimane alle stime del CNR e dell’Ispesl che parlano di 32 milioni di tonnellate presenti sul territorio nazionale, che prendono in considerazione però solo le onduline di cemento-amianto.
Eppure a causa dell’amianto si continua a morire e secondo il Registro Nazionale Mesoteliomi - istituito presso l’Ispesl, che dal 1993 censisce il tumore dell’apparato respiratorio strettamente connesso all’inalazione di fibre di amianto - sono oltre 9mila i casi riscontrati fino al 2004, con una esposizione che circa il 70% delle volte è stata professionale. Nessuna regione è esclusa e tra le regioni più colpite ci sono il Piemonte (1.963 casi di mesotelioma maligno), la Liguria (1.246), la Lombardia (1.025), l’Emilia-Romagna (1.007) e il Veneto (856). Nonostante la situazione sanitaria sia molto preoccupante, gli interventi da parte dello Stato prima e delle Regioni poi tardano ad arrivare.
Alla vigilia della giornata mondiale dedicata alle vittime dell’amianto Legambiente torna a lanciare l’allarme sui rischi dovuti all’elevata presenza di materiali contaminati su tutto il territorio nazionale e a denunciare il clamoroso ritardo sugli interventi di risanamento e bonifica delle strutture in cui è presente la fibra killer.
I dati sono contenuti nel Rapporto “I ritardi dei Piani regionali per la bonifica dell’amianto” che l’associazione ha presentato oggi nel corso di una conferenza stampa che ha visto la partecipazione di Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente, Barbara Meggetto, direttrice Legambiente Lombardia, Edoardo Bai, Isde-Medici per l'ambiente, Fulvio Aurora, Aiea-Associazione italiana esposti amianto e Mario Fugazza, Assessore all'Ambiente di Broni (PV) insieme al il coordinamento provinciale dei circoli Legambiente di Pavia e l'Aiea di Pavia.
La ricerca, che indaga lo stato dell’arte a livello regionale, aggiorna la situazione fotografata da Legambiente nel novembre scorso quando, per l’apertura della Conferenza nazionale sull’amianto, l’associazione presentò i dati relativi ai grandi siti industriali in cui l’amianto si estraeva o si lavorava.
Per quanto riguarda gli interventi di bonifica e di risanamento i ritardi registrati per i grandi siti nazionali si amplificano se si guarda ai piccoli interventi che sarebbero necessari a rimuovere l’amianto dalle strutture in cui è ancora presente. Va evidenziata solo l’esperienza del Piemonte - che sta svolgendo un’intensa attività di bonifica, soprattutto nei Comuni che ricadono all’interno del Sito di interesse nazionale di Casale Monferrato - e della Lombardia, dove ad oggi sono stati bonificati oltre 400mila metri cubi di onduline in cemento-amianto e gli edifici “risanati” rappresentano il 18,5% del totale censito.
“È evidente che nonostante la gravità del problema – ha dichiarato Stefano Ciafani, responsabile Scientifico di Legambiente – sulla questione amianto permane un pericoloso immobilismo dello Stato così come delle Regioni che espone la popolazione a un rischio per la salute all’apparenza meno evidente ma molto insidioso, perché di amianto ce n’è molto e in posti che tanti non sospetterebbero nemmeno. Per questo oltre che una corretta informazione alla popolazione è quanto mai urgente investire risorse pubbliche che permettano di avviare e portare avanti gli interventi di risanamento e pianificare la realizzazione di impianti di trattamento e smaltimento dei materiali, problema questo che in molti casi ostacola la bonifica e fa lievitare i costi”.
La mancanza di impianti di smaltimento adeguati per i materiali contaminati da amianto, infatti, fa sì che le fibre rimosse debbano essere spedite da altre parti, anche all’estero, come in Germania o in Austria. Ad oggi le regioni che hanno una discarica dedicata allo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto sono Friuli Venezia Giulia, Lombardia (esaurita nel marzo 2009), Abruzzo (in istruttoria per la riapertura), Emilia-Romagna e Liguria. La Basilicata ne ha 2, il Piemonte 3, la Toscana e la Sardegna 4, ma tutti i casi le capacità residue sono comunque molto scarse se relazionate ai quantitativi di materiali contenenti amianto ancora presenti sul territorio.
Al tempo stesso l’associazione chiede anche al Governo di garantire una continuità di risorse economiche per le analisi epidemiologiche necessarie a monitorare gli effetti sanitari del problema amianto. E al Ministero dell’Ambiente di mettere in campo gli strumenti e le risorse necessarie a completare quanto prima, attraverso i censimenti regionali, la mappatura nazionale iniziata nel 2003. Secondo l’associazione poi, le Regioni dovrebbero procedere con una capillare mappatura delle strutture interessate per stabilire le priorità di intervento, prevedere le risorse economiche necessarie per facilitare la bonifica delle strutture contaminate di proprietà dei Comuni e dei cittadini, e pianificare la realizzazione di una impiantistica di trattamento e smaltimento coinvolgendo il più possibile la popolazione nel processo decisionale.
“Solo cambiando l’approccio dimostrato fino ad oggi nella lotta all’amianto – ha concluso Ciafani – in l’Italia sarà possibile quella svolta auspicabile e quanto mai necessaria anche alla luce delle evidenze sanitarie in chi lo ha purtroppo inalato. Sta al Governo centrale e alle Regioni dimostrare con atti concreti che questo è un obiettivo condiviso. Finora non è stato così”.
La conferenza stampa è stata anche l'occasione per presentare 'Provincia eternit free', un progetto di Legambiente e AzzeroCO2 per promuovere la sostituzione dei tetti in cemento-amianto dei capannoni industriali o agricoli con impianti fotovoltaici, beneficiando degli speciali incentivi statali previsti dal DM del 19 febbraio 2007, in scadenza nel dicembre 2010.
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